Oleg Khorzhan, leader delle forze di opposizione in Transnistria – nonché segretario del piccolo Partito comunista locale – è stato brutalmente assassinato nella notte tra domenica e lunedì nella sua casa di Sucleia, alla periferia sud di Tiraspol.

Khorzhan, 47 anni, era forse il personaggio più inviso alla potentissima oligarchia che oggi governa la repubblica separatista al confine tra Moldavia e Ucraina. Eletto deputato nel 2010, aveva tentato per due volte la corsa alla presidenza, nel 2011 e nel 2016. Nel 2018, dopo aver capeggiato una manifestazione di protesta, era stato privato dell’immunità parlamentare e condannato a quattro anni e mezzo di carcere «per aggressione alle forze dell’ordine». Con lui – nonostante le proteste di molti membri della comunità internazionale – erano finiti in manette anche il figlio e la moglie.

QUANDO lo abbiamo incontrato per un’intervista, nel maggio di quest’anno, Khorzhan era appena uscito di galera. «La verità è che i nostri governanti non hanno nemmeno più bisogno di comprare i voti – ci aveva detto -. Durante le ultime elezioni, quelle del 2021, io mi trovavo prigione. Gli altri oppositori o hanno fatto la mia stessa fine, oppure sono stati costretti a ritirarsi. Alla fine è rimasto un solo candidato, l’attuale presidente Vadim Krasnoselsky, i cui uomini controllano oggi l’intero parlamento».

Krasnoselsky è l’espressione politica della compagnia Sheriff, fondata agli inizi degli anni Novanta da due ex agenti del Kgb: un colosso con un fatturato da sei miliardi di dollari (ovvero metà Pil mondavo e sei volte quello transnistriano) che da sempre domina ogni ganglio economico della regione. Oltre alla famosa squadra di calcio dell’Fc Sheriff, la holding controlla intere catene di supermercati e centri commerciali, pompe di benzina, compagnie telefoniche, banche, imprese edili e case editrici. Tutto ciò, nel cuore di una delle aree strategicamente più importanti dell’Europa orientale.
In Transnistria è infatti presente dal 1992 un “contingente di pace” composto da duemila soldati russi, che partendo da qui – in un domani forse non troppo lontano – potrebbero prendere alle spalle l’esercito ucraino schierato sul fronte di Odessa. Poco a nord di Tiraspol, a Cobasna, si trova inoltre uno dei più grandi depositi di armi dell’ex Unione Sovietica: una santabarbara da ventimila tonnellate, la cui deflagrazione – secondo i calcoli dell’intelligence moldava – avrebbe una forza distruttiva pari all’atomica di Hiroshima.

IL CONTROLLO di questo piccolo lembo di terra alle porte dell’Unione europea è, insomma, una prerogativa a cui il Cremlino non può permettersi di rinunciare – e la Sheriff, con la sua potenza di fuoco economico-politica, e i suoi stretti rapporti con Mosca, era decisamente l’alleato giusto su cui puntare. È in questo contesto che Khorzhan ha portato avanti le sue battaglie.
La Transnistria è celebre nel mondo per aver mantenuto intatta tutta la vecchia simbologia sovietica – ci aveva raccontato -. Oggi però dietro le bandiere rosse e le falci e martello si cela una oligarchia vorace e senza scrupoli, che riduce alla fame i lavoratori e se ne frega di ogni basilare diritto sociale».

IL CADAVERE DI KHORZHAN è stato rinvenuto ieri mattina dalla moglie, che non viveva più con lui. L’uomo sarebbe stato colpito alla testa con un oggetto contundente, dopodiché il suo aggressore lo avrebbe pugnalato più volte alla schiena. Il corpo giaceva davanti alla cassaforte dove il leader politico conservava i propri documenti, che era stata aperta e svuotata. Quelle carte facevano forse paura a qualcuno? La polizia della Transnistria – anch’essa controllata dagli uomini della Sheriff – difficilmente saprà fornire risposte convincenti a tale domanda.

DURANTE IL NOSTRO INCONTRO, Khorzhan ci aveva fornito molte informazioni di prima mano sui traffici della holding di Tiraspol, anche nel campo delle criptovalute. «Andrò avanti a combattere, anche a costo di tornare in prigione – ci aveva detto -. Quando ero in carcere, i miei aguzzini mi avevano fatto questa proposta: libertà in cambio della rinuncia a ogni attività politica. Ma le lotte dei lavoratori non si fermano con questi mezzucci».