Nel centro di Tiraspol, la capitale della Transnistria, sono esposti i ritratti di due vecchi militanti bolscevichi, Stefan Zdanovich e Aleksej Zarev. Zdanovich è stato un combattente della guerra civile, mentre Zarev, durante la rivoluzione del 1905, ha partecipato all’ammutinamento della corazzata Potemkin. Entrambi sono nati quaggiù, e qui hanno vissuto e lottato – così ci piace pensare – per i diritti degli operai e dei contadini. Da tempi immemori, i loro sguardi ingialliti scrutano le auto di passaggio lungo ulitsa 25 ottobre, a pochi metri dall’immancabile busto di Lenin.

PROPRIO DI FRONTE ai ritratti di Zdanovich e Zarev, sempre nel centro di Tiraspol, sorge un edificio moderno e lussuoso, privo di insegne ma circondato da un alto cancello e protetto da decine di telecamere a circuito chiuso. È la sede della compagnia Sheriff, un colosso il cui fatturato ammonta a circa sei miliardi di dollari, ovvero metà del Pil della Moldavia e quasi sei volte quello dell’intera Transnistria. Basterebbe forse questa semplice istantanea per raccontare cosa è oggi la repubblica separatista di Pridnestrovia, come la chiamano da queste parti: un fazzoletto di terra eternamente adornato di simboli operai e bandiere rosse, all’ombra delle quali, tuttavia, qualcuno sta facendo un sacco di soldi.

La storia è più o meno nota: dopo essersi dichiarata indipendente da Chisinau nel 1990 – e aver combattuto, tra il marzo e il luglio del 1992, una sanguinosa “guerra di liberazione” contro l’esercito dell’allora neonata Repubblica moldava – da oltre tre decenni la Transnistria vive di un’esistenza solitaria e silenziosa, orfana di qualsiasi riconoscimento internazionale ma saldamente protetta da un contingente di duemila soldati russi.

Collocata alle spalle di Odessa e alle porte dell’Unione europea, questa enclave moscovita adagiata lungo il fiume Nistro ospita tuttora uno dei più grossi depositi di armi dell’ex Unione Sovietica, per un totale di circa 20mila tonnellate di materiale bellico minacciosamente stoccate a una manciata di chilometri dal confine ucraino. Perciò, da un anno e mezzo a questa parte, gli occhi del mondo sono puntati sulla roccaforte di Tiraspol, che Putin potrebbe sfruttare come base di partenza sia per aprire un secondo fronte contro Kiev che – in un domani non lontano – per muovere guerra alla Moldavia.

MA PER CAPIRE la Transnistria, innanzitutto, bisogna tornare in ulitsa 25 ottobre e osservare il grande palazzo senza insegne che si affaccia sui ritratti di Zdanovich e Zarev. Fondata da Viktor Gushan e Il’ja Kazmaly, due ex membri del Kgb, la compagnia Sheriff controlla oggi la quasi totalità della vita economica del Paese. Alla Sheriff appartiene l’unica azienda telefonica transnistriana, la Interdnestrcom, alla quale si sommano, in ordine sparso, una banca, due fabbriche di pane, una di liquori, una catena di supermercati e centri commerciali, una di distributori di benzina, un’impresa edile, una casa editrice e un’agenzia pubblicitaria – per non parlare dell’Fc Sheriff, la ricchissima e blasonatissima squadra di calcio locale, che nel 2021, a Madrid, riuscì persino a battere il Real.

ASSIEME ALLE BANDIERE russe, il simbolo dell’azienda è onnipresente su quasi tutti i palazzi della capitale – tranne, paradossalmente, che su quello che ne ospita gli uffici. «Oggi la Sheriff e la Transnistria sono praticamente la stessa cosa», assicura Oleg Khorzhan, 47 anni, leader del partito comunista di Pridnestrovia ed ex candidato alla presidenza della repubblica. Nel giugno 2018, dopo aver organizzato una manifestazione di protesta, Khorzhan è stato privato dell’immunità parlamentare e sbattuto in prigione per quattro anni e mezzo. Con lui sono stati arrestati anche la moglie e il figlio maggiore.

«ALLE ULTIME ELEZIONI, quelle del 2021, l’opposizione è stata letteralmente tagliata fuori – racconta oggi, dal bugigattolo imbandierato che gli funge da ufficio -. Dopo aver arrestato il sottoscritto, i governativi hanno obbligato gli altri sfidanti di minoranza a levarsi di mezzo. In gara è rimasto solo il presidente uscente Vadim Krasnoselsky, che, appunto, è un uomo della Sheriff. Volete la verità? Non hanno più bisogno nemmeno di comprare i voti, perché si sono già comprati ogni singolo apparato dello Stato». Logicamente, gli oligarchi della Sheriff sono in ottimi rapporti soprattutto con Mosca. Ogni anno, dalle casse del Cremlino arrivano a Tiraspol 850 milioni di dollari in sussidi, ai quali si aggiungono immense quantità di energia a costo zero. Il gioco più o meno funziona così: Gazprom rifornisce di gas sia la Moldavia che la Transnistria. Quest’ultima, tuttavia, è esentata dal pagamento delle proprie parcelle, le quali vengono regolarmente recapitate a Chisinau. Risultato: un debito di 8,5 miliardi di dollari a carico delle finanze moldave, che a loro volta si rifanno sui contribuenti.

COSÌ, MENTRE sul lato destro del Nisto la gente batte i denti dal freddo, su quello sinistro si può contare su sostanziosi surplus di elettricità, che dal 2018 vengono reinvestiti in un nuovo business – la produzione di criptovalute. I computer utilizzati per fabbricare le preziosissime monete elettroniche sono celati dentro una vecchia officina abbandonata, nel centro di Tiraspol. La struttura è presidiata da uomini armati che impediscono a chiunque di avvicinarsi, ma il brusio sordo dei processori è così forte che si sente persino dalla strada. «Anche questo trust, neanche a farlo a posta, è gestito dalla Sheriff – spiega il giornalista moldavo Ilie Gulca, autore di una lunga inchiesta pubblicata dalla stampa di Chisinau -. Negli anni, molti altri investitori hanno preso parte all’affare. Sono arrivati capitali dalla Russia, ma anche da alcune aziende europee». È in questo modo, barattando la libertà d’azione economica con quella militare, che la Sheriff e il Cremlino si sono assicurati il controllo assoluto su ogni attività umana al di là del Nistro.

A FARNE LE SPESE sono stati soprattutto i lavoratori locali, a cui mediamente restano in tasca 250 dollari di stipendio e 90 di pensione – ragion per cui in molti hanno finito per fare le valigie e andarsene all’estero. Così va la vita, nella repubblica separatista di Transnistria, dove i diritti degli operai e dei contadini sono belli soltanto negli arredi stradali.