Non è la libertà personale a cui avrebbe diritto, ma è senza dubbio una vittoria per Julian Assange che, grazie alla decisione dell’High Court di Londra potrà presentare un nuovo appello contro il provvedimento di estradizione negli Usa deciso dalle autorità inglesi.

Un calvario senza fine che, però, adesso, con la nuova pronuncia, potrebbe portare a ribaltare un destino che sembrava già segnato in modo definitivo. L’Alta Corte di Londra, infatti, con la decisione depositata ieri ha accordato ad Assange la possibilità di presentare un nuovo appello contro l’estradizione. Un punto di svolta che potrebbe finalmente portare alla scarcerazione di Assange che, negli Stati uniti, rischia 175 anni di carcere in base all’Espionage Act.

In ogni caso, non c’è dubbio che quanto subito da Assange, prima con la sostanziale detenzione nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e poi, dal 2019, nel carcere di massima sicurezza inglese di Belmarsh, abbia avuto un effetto devastante sulla libertà di stampa, con un sicuro effetto dissuasivo sui giornalisti che intendano rivelare notizie sui crimini commessi in contesti guerra (nel caso di Assange si trattava, in particolare, di Afghanistan e Iraq).

La sentenza di ieri, però, mostra che i giudici inglesi hanno preso la decisione ritenendo, evidentemente, non adeguate le rassicurazioni sul rispetto di alcuni diritti fondamentali da parte degli Stati uniti.

Il 26 marzo, la Divisional Court aveva chiesto alle autorità statunitensi di chiarire, entro tre settimane, se Assange avrebbe potuto invocare il Primo emendamento (libertà di parola) in un procedimento negli Stati uniti o se questa possibilità gli fosse preclusa in quanto privo della cittadinanza statunitense. Le rassicurazioni, incluse quelle su eventuali pregiudizi che Assange potrebbe subire per la sua nazionalità, non sono state ritenute sufficienti.

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Il Regno unito, d’altra parte, è vincolato dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e, per evitare la violazione dell’articolo 10 della Convenzione che assicura il diritto alla libertà di espressione, nonché altri diritti convenzionali probabilmente già compromessi, la Corte inglese ha permesso il nuovo appello. Questo vuol dire che la difesa di Assange ha dimostrato che le garanzie arrivate dalle autorità americane sull’effettivo rispetto del diritto alla libertà di parola non possono essere considerate sufficienti.

La richiesta di garanzie agli Usa riguardava anche la non applicazione della pena di morte, aspetto sul quale, in realtà, eventuali garanzie non avrebbero dovuto in ogni caso essere considerate sufficienti visto che l’eventuale pena capitale è decisa autonomamente dai tribunali Usa.

La debolezza delle garanzie ha permesso l’apertura al ricorso contro l’estradizione.

Oltre ad associazioni impegnate sulla libertà di stampa, si sono mossi anche organismi internazionali. La richiesta di scarcerazione di Assange è arrivata, a più riprese, dal Consiglio d’Europa. Nei giorni scorsi la relatrice dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, Sunna Evarsdottir, aveva compiuto una visita a Julian Assange e aveva espresso profonde preoccupazioni sulla situazione del fondatore di Wikileaks. Non solo. L’inviata dell’Assemblea parlamentare aveva anche sottolineato che il duro trattamento riservato ad Assange rischia di scoraggiare i giornalisti che intendono fornire all’opinione pubblica notizie su crimini commessi nel corso di conflitti armati, con un chilling effect su chi intende denunciare le violazioni dei diritti.

Intanto, però, in attesa del nuovo procedimento e della nuova udienza, Assange continua a rimanere nel carcere di Belmarsh, dove è rinchiuso da cinque anni senza che sia stata pronunciata una sentenza di condanna.