A oltre trent’anni di distanza dal bellissimo Recreations, Claire Simon torna a scuola a filmare i ragazzini e il risultato – Apprendre, presentato domenica fuori concorso – è un film molto riuscito e molto diverso. È cambiata la Francia, cambiata la scuola ma soprattutto è cambiata la direzione della ricerca della regista francese.
Se quel film mostrava in diretta la trasformazione di un dispositivo di ricerca comportamentale in una forma poetica capace di sbaragliare convinzioni e luoghi comuni sull’infanzia, Apprendre si apre alla complessità e accoglie nella narrazione anche gli insegnanti che, spesso visti dal basso e talvolta fuori campo, costituiscono un polo dialettico plurale alle espressioni dei giovani studenti.

GIRATO nella scuola elementare Makarenko, a Ivry-sur-Seine uno dei comuni rossi della banlieue parigina dove già era stato girato Premieres Solitudes, il film si sviluppa in ampi capitoli: prima l’apprendimento della matematica, la lettura ad alta voce, lo spazio libero della ricreazione dove la parola è eletta a elemento regolatore del conflitto e quindi il confronto con il mondo, l’uscita dai confini della scuola, gli studenti arrivati da una lontana provincia, la gita a Parigi.

La redazione consiglia:
Claire Simon, il racconto dell’adolescenzaSimon sceglie di stare molto vicino ai ragazzi. Non ci sono incertezze nei loro sguardi, tutti accettano senza problemi che l’occhio elettronico della piccola macchina da presa si sieda al banco accanto a loro e che la regista si trovi a condividere la loro voglia di sapere. I ragazzini sono teneri e testardi, a volte accoglienti altre dispettosi, ma tutti interessano a Claire, che trova in loro preziosi semi di cinema. Non materia da plasmare, ma piuttosto custodi di una drammaturgia da rivelare con pazienza e fiducia.

Molto bello il gioco tra i ragazzi e le ragazze, con i primi più arroccati a pur molto fragili certezze e le seconde più svelte a cogliere sfumature e a gestire le contraddizioni. Il culmine lo si tocca quando l’argomento in campo è il rapporto tra la fede religiosa e la vita quotidiana: c’è chi fa discendere da dio ogni comportamento e chi distingue la preghiera dalla vita pubblica. Si tratta a tutta evidenza della questione della laicità dello stato, raccontata con esemplare chiarezza ad altezza di bambino, senza la necessità di aggiungere una parola o suggerirne un’altra. L’ultima spetta a un ragazzo orientale che chiude la discussione dichiarandosi ateo ed esortando gli altri a suonare insieme a lui. Una lezione pratica di democrazia che tramite la fraternità si trasforma nella felicità di suonare insieme, in una sintesi esemplare dei valori della rivoluzione francese e della dichiarazione d’indipendenza americana.

È in questa capacità di toccare questioni fondamentali con la massima semplicità che si esprime il talento di Simon, la quale si guarda bene dall’esibire e persino di cercare la profondità. Essa semplicemente si manifesta davanti alla macchina da presa in piccoli miracoli che la cineasta è in grado di accogliere e tradurre in una forma filmica intimamente emozionante.

IL FINALE è nel segno della condivisione con la pratica musicale, prima individuale e poi collettiva, che, nonostante le incertezze esecutive, esprime un momento di vera comunione e una speranza di solidarietà. Non rimanere soli di fronte alla vita è speranza comune, ma per tutti gli insegnanti, gli educatori e, in occasioni come questa, per i cineasti un impegno da prendere con gli studenti e gli spettatori.
Un film che riconcilia con il cinema.