Internazionale

Ancora un’incriminazione per Donald Trump: è la quarta

foto trumpDonald Trump – foto Ap

Stati Uniti Dopo un'indagine lunga due anni, l'ex presidente è accusato di aver provato a sovvertire il risultato elettorale del 2020 in Georgia

Pubblicato circa un anno faEdizione del 15 agosto 2023
Luca CeladaLOS ANGELES

Alle 22:53 di lunedì 14 agosto, ora di Atlanta, il tribunale superiore della contea di Fulton, Georgia, ha ufficializzato il quarto, ampiamente previsto, rinvio a giudizio a carico di Donald Trump. L’incriminazione, giunta al termine di un’indagine durata quasi due anni, è dettagliata in un documento di novantotto pagine che configura l’illecito tentativo di sovvertire i risultati delle elezioni presidenziali nello stato.

Nel nostro paese tutte le elezioni sono amministrate dai singoli stati,” ha ricordato Fani Willis, la procuratrice che ha diretto le indagini. “A loro compete garantire l’equo processo e l’accurato spoglio dei voti, funzioni essenziali per il funzionamento della nostra democrazia”.

L’imputato Donald J Trump”, si legge poi nell’introduzione al documento d’accusa, “ha perso le elezioni del 2020, compresi gli scrutini in Georgia. Ma Trump e gli altri imputati si sono rifiutati di accettare questa realtà ed hanno cospirato per modificare illegalmente l’esito a loro favore”.

Una tesi accettata dal gran giurì che ha formalizzato le imputazioni nei confronti di Trump e di 18 complici, fra cui Rudy Giuliani e l’ex capo di gabinetto Mark Meadows, e numerosi consiglieri ed avvocati, che nell’autunno del 2020 ed primi mesi del 2021 avrebbero consapevolmente e congiuntamente operato per tentare di rovesciare l’elezione presidenziale che Joe Biden aveva legittimamente vinto. A loro carico, la pubblico ministero ha configurato 41 capi d’imputazione, compresi ostruzione di giustizia, falso in atti d’ufficio e associazione a delinquere di stampo mafioso. Quest’ultimo è il dato saliente di questo quarto caso giudiziario a carico dell’ex presidente poiché lo pone al centro di una presunta organizzazione criminosa.

Le imputazioni sono dunque state mosse nell’ambito dello statuto RICO (racketeer influenced and corrupt organizations act) utilizzato contro la criminalità organizzata, da cartelli della droga alle famiglie di Cosa nostra (come sa bene lo stesso Giuliani che da pubblico ministero d’assalto lo aveva utilizzato contro le famiglie mafiose di New York). Oltre ad esporre gli imputati alle aggravanti del caso, nel contesto politico, e specificamente di un gruppo di consiglieri presidenziali dediti ad un progetto criminoso, non può inoltre che rimandare al caso Watergate.

Come ai tempi di Nixon, il caso ruota attorno a “sporchi trucchi” elettorali: nel caso specifico, gli avvocati e consiglieri che dopo la sconfitta fecero quadrato attorno al presidente uscente, riunendosi spesso alla Casa bianca – come raccontato da molti testimoni già alla commissione di inchiesta parlamentare sul 6 gennaio – per mettere a punto una strategia sovversiva per mantenere il potere. Il piano comprendeva la diffusione massiccia di disinformazione su presunti “vasti brogli”, in un primo momento ricorsi legali ed in seguito vie “di fatto”, fra cui pressioni sconfinate in minacce e tentata corruzione di pubblici ufficiali, spesso appartenenti allo stesso partito repubblicano.

L’operazione prese di mira stati in bilico come Arizona, Wisconsin e Pennsylvania ed ebbe proprio in Georgia un epicentro eclatante, culminato nella la famigerata telefonata intercettata di Trump al commissario elettorale repubblicano Brad Raffensperger, chiedendo di “far saltare fuori” gli 11.780 voti necessari a vincere quelle primarie (il disavanzo esatto con il quale in realtà Trump aveva perso, più un voto.) L’operazione comprese anche tentativi di certificare delegati “alternativi” rispetto a quelli espressi dai regolari collegi elettorali ne sistema di voto intermediato americano ed altri di manomettere terminali per il voto.

Il processo in Georgia si aggiunge ai fascicoli pregressi sui documenti top secret illecitamente sottratti agli archivi nazionali, quello per frode fiscale a New York e quello federale per l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio, 2021. Una bufera giudiziaria che prefigura come sempre più paradossale il panorama delle prossime elezioni, ormai alle porte. Non solo sembra certo che il probabile candidato repubblicano sarà pluri incriminato in processi che difficilmente potranno essere celebrati per tempo, ma anche Joe Biden potrebbe a breve venire, seppur indirettamente, coinvolto in scomode vicende giudiziarie, tramite le accuse di illeciti finanziari internazionali e corruzione rivolte al figlio Hunter.

La scorsa settima il ministro di giustizia Merrick Garland ha designato un procuratore speciale incaricato di indagare sul caso, assicurando che l’ombra del caso si allungherà sulla campagna presidenziale del padre.

Sui social, Trump e i suoi fedeli sostenitori hanno prevedibilmente gridato alla persecuzione politicamente motivata da parte di giudici comunisti e “amici di Obama” (riferimento malcelato al fatto che diversi procuratori sono afro americani.) Cominciano a farsi sentire tuttavia alcune prime voci di dissenso concreto all’interno del partito, che chiedono il ritiro di Trump dalla campagna, compreso quelle dell’ex governatore del New Jersey, Chris Christie, e lo stesso ex vicepresidente, Mike Pence. In campo democratico, intanto, non abbonda certo l’entusiasmo per un nuovo mandato Biden.

A poco più di un anno dalle presidenziali del novembre 2024, non è insomma più possibile escludere categoricamente sviluppi anche clamorosi in uno o entrambi i partiti. Per il momento l’unica certezza sembra l’approssimarsi di una stagione politica oltremodo incerta e potenzialmente e volatile.

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