Altro che Pasqua. Siamo rassegnati al peggio
Operai ucraini al lavoro per rimuovere i resti di un carroarmato da una strada alla periferia di Kiev – Efrem Lukatsky /Ap
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Altro che Pasqua. Siamo rassegnati al peggio

Che brutta Pasqua che abbiamo passato, imparagonabile a quella tragica che stanno passando sotto le bombe in Ucraina (i riti della Pasqua ortodossa sono cominciati ieri). Triste e rassegnata, anche […]

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 19 aprile 2022

Che brutta Pasqua che abbiamo passato, imparagonabile a quella tragica che stanno passando sotto le bombe in Ucraina (i riti della Pasqua ortodossa sono cominciati ieri). Triste e rassegnata, anche se le tv ci hanno raccontato che in Italia si riparte, il turismo riprende alla grande e milioni di italiani si sono messi in viaggio.

Non è servito a niente l’appello straziante di papa Francesco per un attimo di tregua, per deporre le armi un momento in omaggio alla Pasqua cattolica.

La verità, ormai inconfutabile, è che le trattative erano un bluff e che la pace non la vuole nessuno.

Non la vuole Biden che punta a umiliare Putin, che aveva contribuito a far vincere le elezioni a Trump e che continua a sostenerlo.

Non la vuole Zelensky, diventato star internazionale della difesa dell’Occidente e della democrazia in un paese aggredito in cui tutte le voci dell’opposizione sono state messe a tacere, non diversamente da quanto avviene in Russia.

E ovviamente non la vuole Putin, l’aggressore, che dopo aver mandato al macello decine di migliaia di giovanissimi soldati di leva, deve spiegare al suo popolo che porta a casa qualcosa che ha a che fare con la difesa delle popolazioni russofile e con la sicurezza del suo paese nei confronti della Nato.

Sarà arduo spiegare alla popolazione della Federazione russa che ne valeva la pena: ai ceti medi impoveriti a causa della pesante crisi economica indotta dalle sanzioni, alle madri che piangono il sangue versato dai loro figli , agli artisti, intellettuali, sportivi e semplici cittadini che non possono più viaggiare liberamente in Europa, che sono ritornati dietro una cortina di ferro che pensavano fosse crollata per sempre.

È difficile immaginare che tornerà la pace, al più una tregua nella migliore delle ipotesi, ma non prima che si concluda la battaglia nel Dombass.

Qui, in questo lembo di terra ai più sconosciuto, si giocherà il futuro dell’Ucraina e della Russia, e forse dell’intera umanità. Il Donbass, bacino del Donec, il fiume affluente del Don che unisce Russia e Ucraina, ricca riserva di carbone, di un combustibile che avrebbe dovuto essere dismesso per la transizione ecologica e che grazie a questa guerra torna in auge.

Zelensky, ebbro di un successo internazionale inimmaginabile per un presidente «per caso», come recita nella sua fiction televisiva, l’ha detto chiaramente: non rinuncerà mai al Donbass e alla integrità del suo paese.

Potrà farlo finché gli Usa e l’Europa gli manderanno armi e aiuti economici, finché saranno disposti ad alzare il tiro, fino alla linea rossa dell’uso delle armi nucleari. Vincere e vinceremo, urlano tutti i contendenti, ma non rischiano tutti allo stesso modo.

Biden è il vero vincitore di questa guerra: ha piegato l’Ue all’acquisto di armi made in Usa all’interno di un generale incremento della spesa militare per sostenere le basi Nato in Europa, ci sta vendendo a prezzi da gioielleria il gas che estrae inquinando l’habitat di intere montagne, ha distrutto il lavoro di trent’anni di collaborazione tra l’Ue e la Russia, la famigerata (per gli Usa) Ostpolitik di Brandt, rilanciata dalla signora Merkel. E se dovesse sfuggire di mano questo conflitto e cadere qualche bomba nucleare «tattica», sarà l’Europa a pagarne il prezzo, come fu il Giappone nel 1945.

Il primo perdente è certamente il popolo ucraino, migliaia di morti, milioni di profughi e un paese distrutto. Non poteva il grande statista Zelensky dichiarare prima la neutralità del suo paese? Dare l’autonomia al Donbass, magari sul modello del nostro Alto Adige-Sud Tirolo che ha permesso la convivenza di popolazioni di matrice austro-germanica e italiana, dopo gli attentati terroristici dei primi anni ‘60?

E, comunque vada a finire, ha perso anche Putin e ancor più il popolo russo trascinato in una guerra che non voleva, secondo i sondaggi, almeno nella parte della sua popolazione urbana.

E infine ha perso quello che Rifkin definì in un suo saggio «il sogno europeo». È finita l’Unione europea come istituzione autonoma capace di giocare un ruolo a livello internazionale, capace di mostrare al mondo un modello sociale diverso dal capitalismo selvaggio made in Usa.

E ha perso il movimento per la pace se non sarà capace di mobilitarsi per fermare questa corsa agli armamenti, questo rigurgito di retorica patriottica e neofascista, di arrestare questo regresso culturale, politico e sociale, che ci riporta indietro ai momenti peggiori del XX secolo.

A partire dal fatto che siamo entrati di fatto in guerra contro la Russia senza che il Parlamento italiano ed europeo abbiano espresso un voto in questa direzione, senza prendere minimamente in considerazione l’articolo11 della nostra Costituzione.

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