Alla Sapienza sono riapparse le tende. Stavolta la protesta non è contro il caro affitti, ma per lo stop alle fonti energetiche fossili. E non riguarda solo l’Italia. «End fossil: occupy» è una campagna internazionale che già lo scorso autunno aveva portato all’occupazione delle facoltà in diversi paesi del mondo, soprattutto in Germania. A febbraio 2023 circa 150 attivisti si sono incontrati a Berna, in Svizzera, per pianificare una nuova ondata di proteste dal 2 maggio. Provenivano da Slovenia, Romania, Spagna, Portogallo, Colombia, Zambia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Svezia, Svizzera, Austria, Germania e anche Italia. In molti di questi paesi adesso sono in corso occupazioni di scuole e università. Nello stivale si sono mossi per primi gli studenti della statale di Milano.

Tra mercoledì e giovedì alla Sapienza di Roma, al termine di un convengo ecologista nella facoltà di fisica, alcune decine di ragazze e ragazzi sono entrati nella vicina sede di geologia. «Chiediamo che la nostra università blocchi qualsiasi collaborazione con le aziende che producono combustibili fossili. Nel frattempo abbiamo un obiettivo intermedio: che siano rese pubbliche tutte le informazioni sui rapporti tra Sapienza e multinazionali come Shell, Total, Enel, Eni», afferma Francesco Sampietro. Ha 21 anni, studia fisica, indossa la felpa della ex Gkn, fabbrica occupata dai suoi operai e luogo di convergenza tra le battaglie ecologiste e quelle per i diritti dei lavoratori.

Con la Sapienza, spiegano i ragazzi, aziende caratterizzate da forti responsabilità nell’inquinamento globale hanno rapporti di tre tipi: accordi quadro; finanziamenti di percorsi di ricerca; sovvenzioni a corsi di studio. «Una seconda rivendicazione riguarda la didattica. Vogliamo la costituzione di un organo composto da studenti e docenti sensibili al problema ecologico che influenzi la produzione di sapere dentro l’ateneo e costruisca un corso sulla giustizia climatica», continua Sampietro.

Davanti a lui, nell’aiuola di fronte a giurisprudenza, ci sono le tende dove i ragazzi hanno passato la notte. Alle spalle l’aula magna trasformata in uno spazio che, dicono, è di «convergenza e intersezione» con altre battaglie. Le organizzazioni ambientaliste Re:Common, Fridays For Future, Scientist Rebellion e Ultima Generazione tengono dibattiti sulle diverse questioni relative alla crisi climatica. Nel pomeriggio si parla di reddito universale, verso il corteo di sabato prossimo.

Il preside della facoltà di scienze e il direttore del dipartimento di geologia tentano una mediazione. Vogliono convincere gli occupanti a lasciare l’aula e chiedere l’autorizzazione per le loro iniziative: sarà loro concessa. Ma è proprio l’interruzione della quotidianità attraverso la pratica dell’occupazione l’obiettivo politico degli universitari, che vogliono andare avanti almeno per tre giorni.

La campagna «End fossil: occupy» è uno dei segnali che a livello internazionale stanno nascendo inedite reti di attivisti, spesso molto giovani, che si affacciano alla politica per una forte sensibilità ambientale e la grande paura di un futuro distopico. Dopo la fase di alta degli scioperi per il clima lanciati da Greta Thunberg e caratterizzati da partecipazioni di massa in tutto il mondo, ma anche dall’assenza di risposte istituzionali sufficienti, è in corso una ricerca di nuove pratiche conflittuali con cui continuare la battaglia.

Per adesso si inseriscono nell’ambito della disobbedienza civile non violenta, a eccezione della manifestazione francese di Sainte-Soline contro i bacini idrovori che tolgono acqua alla popolazione per distribuirla solo tra gli agricoltori. Lì si sono verificati scontri con la polizia.