Una lettera breve, scritta su un foglio strappato da un quaderno a righe, è la prova in vita che la famiglia del più noto attivista egiziano Alaa Abdel Fattah chiedeva da giorni. Da quando Alaa, il 7 novembre – in concomitanza con l’inizio della Cop27 – aveva smesso di bere, a 220 giorni di sciopero della fame.

«Ore 16 di sabato 12 novembre 2022. Come stai, mamma? (…) Da oggi riprendo a bere acqua, puoi smettere di preoccuparti finché non mi vedrai di persona. I segni vitali oggi sono a posto. Mi misuro regolarmente e ricevo cure mediche. Quando verrete con le provviste portate il lettore MP3 e, se Dio vuole, vi sarà permesso di farlo entrare. Avrò bisogno di vitamine, quelle che ho sono quasi finite, e di sali effervescenti. Mi mancate tutti e vi voglio molto bene. Alaa».

Tra i leader della rivoluzione di Tahrir del 2011 e prigioniero politico sotto Mubarak, Morsi e al-Sisi, è stato ri-arrestato nel 2019 e condannato nel 2021 a cinque anni per diffusione di notizie false.

Il suo nome è risuonato a Sharm el-Sheikh per giorni. Ieri la lettera con cui annuncia di aver ripreso a bere. Non a mangiare perché le sue richieste non sono state ancora accolte: un processo giusto e migliori condizioni di vita per i detenuti egiziani.

Nessuno lo ha però visto: il suo avvocato, Khaled Ali (lui stesso ex prigioniero), non ha avuto ancora il permesso di incontrarlo nella prigione in cui è detenuto, Wadi al-Natrun, a 100 km dal Cairo. Dove, intanto, si definiscono i numeri della repressione messa in atto in vista della Cop27: oltre 500 gli arrestati portati di fronte a un tribunale anti-terrorismo da ottobre.

Molti di loro, denuncia l’agenzia Mada Masr, sono stati picchiati e fatti sparire per giorni. Le accuse: video e audio in cui criticano il governo o chiamano alla protesta. A questi si aggiungono centinaia di persone non ancora identificate, arrestate a casa o sul luogo di lavoro e non ancora portate di fronte a un tribunale.