«I servizi segreti hanno convocato Khaled El-Balshy e gli hanno fatto capire che il solo modo per far partire il convoglio e farlo arrivare a Rafah è che l’iniziativa venga organizzata sotto la sponsorhip di Abdel Fattah al-Sisi. E che il convoglio si metta in marcia portando con sé i poster con la faccia del presidente».

È IL RESOCONTO che ieri ci è giunto da un giornalista egiziano, che chiede l’anonimato, e che dà conto dei motivi dietro il «congelamento» del Global Conscience Convoy, l’iniziativa lanciata dal Sindacato dei giornalisti egiziani (e dal suo nuovo leader, El-Balshy) e da realtà della sinistra del paese nordafricano, con un obiettivo preciso: mettersi il marcia il 24 novembre, dal Cairo verso Rafah, portando aiuti umanitari diretti alla popolazione di Gaza e la richiesta di cessate il fuoco, di apertura del valico con la Striscia e della fine della politica di espulsione dei palestinesi dalle proprie terre.

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Come si temeva il presidente al-Sisi si è messo di traverso. «Ovviamente El-Balshy ha risposto che mai avrebbe accettato il diktat dei servizi – continua il giornalista – Hanno reagito come da copione: non daranno il via libera al convoglio. Al momento è sospeso in attesa di decidere cosa fare. Nei prossimi giorni il Sindacato annuncerà la propria posizione ufficiale».

Uno degli organizzatori del Global Conscience Convoy conferma al manifesto, anche lui in anonimato: «Abbiamo posposto l’annuncio sulla data finale del convoglio finché non discuteremo le opzioni a nostra disposizione, come fare pressioni politiche sul regime. La decisione dovrebbe giungere entro domenica».

E conferma le minacce dei servizi: «Non ci autorizzeranno a passare se la carovana resta così com’è. Hanno esplicitamente chiesto che il convoglio per rompere l’assedio sia trasformato in una marcia simbolica, con pochi partecipanti e sotto l’egida del regime».

All’iniziativa hanno aderito da tutto il mondo «decine di organizzazioni e realtà internazionali, tra cui la campagna Bds e un certo numero di sindacati arabi – continua l’attivista – A livello locale diversi politici egiziani hanno annunciato il loro sostegno, tra loro il Popular Committee for Solidarity with the Palestinian People, formato da alcuni partiti e figure pubbliche. Tutte le opzioni sono sul tavolo. Nei prossimi giorni decideremo che passi compiere, è importante che i nostri compagni all’estero li condividano con noi».

L’INTERVENTO a gamba tesa del Cairo era atteso: «Il regime cerca di impedire ogni forma di solidarietà con la Palestina – conclude l’attivista – In passato la questione palestinese è stata il motore delle mobilitazioni interne e il terreno di formazione politica di intere generazioni. L’ultima è stata Piazza Tahrir, una rivolta nata tra i giovani che si erano politicizzati durante la seconda Intifada».

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Al-Sisi ne è più che consapevole, glielo hanno ribadito le proteste delle scorse settimane che per la prima volta da anni hanno marciato proprio su Piazza Tahrir in solidarietà con il popolo palestinese. Sa anche che il Sindacato dei giornalisti può rinascere dalle ceneri sotto cui il regime lo aveva soffocato. Il cambio di marcia risale al marzo scorso quando Khaled El-Balshy, a sorpresa, è stato eletto alla testa del sindacato, sconfiggendo i candidati del regime.

Giornalista della sinistra egiziana, direttore del portale online del Socialist Popular Alliance Party, ha lavorato per anni nel panorama mediatico di opposizione, dal quotidiano al-Dustur ad al-Badil. E da marzo è impegnato in prima linea nella difesa dei giornalisti dietro le sbarre e contro la brutalità della polizia nelle strade e nelle carceri. Il suo primo atto, appena eletto, è stato simbolico ma potente: riportare le sedie nella sede cairota del Sindacato, abbandonata dopo una serie di raid del regime, il peggiore nel 2016, atti che avevano trasformato quel luogo in un guscio vuoto.

NEL PIENO di una crisi senza precedenti, l’Egitto si mobilita e al-Sisi lo teme. Al Cairo sono già arrivati giornalisti e medici, pronti a partire con la carovana dopo la chiamata del sindacato che nel lanciare l’iniziativa ha puntato sulla necessità di svegliare «la coscienza del mondo, di riconoscere l’estensione di questo crimine e di agire. Riuniamoci il prima possibile».

Perché di tempo ce n’è sempre di meno: ieri l’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, ha annunciato di aver sospeso tutte le consegne di aiuti, cibo e medicine, costretta dal collasso delle comunicazioni e la carenza di carburante dovuti alle politiche israeliane. Ora si rischia la carestia, è l’allarme delle Nazioni unite.