Gli attivisti egiziani si stanno mobilitando per organizzare un convoglio umanitario che arrivi a Rafah, l’arteria vitale che connette Gaza al mondo esterno, chiusa dall’Egitto sotto pressione israeliana dall’inizio della guerra, il sette ottobre.
Il Global Conscience Convoy partirà alla volta di Rafah il 24 novembre. Gli organizzatori hanno diramato un comunicato in cui si chiede: la fine della guerra; la riapertura pacifica del valico di Rafah, per consentire il passaggio sostenibile di aiuti umanitari (cibo, acqua, medicinali, carburante), e l’uscita incondizionata dei feriti gravi; che gruppi di medici, umanitari e di giornalisti entrino a Gaza; il sostegno al popolo palestinese contro i progetti di espulsione israeliani.

ISRAELE ha bombardato il lato palestinese del valico di Rafah almeno quattro volte all’inizio della guerra, e ha minacciato di colpire i convogli umanitari. L’Egitto, dal canto suo, ha chiuso il valico nonostante le ripetute richieste di Hamas e della società civile palestinese di tenerlo aperto.
Il ministro degli Esteri egiziano ha ripetutamente negato che il valico fosse chiuso, incolpando Israele di ostruire il passaggio ai convogli di aiuti. Nelle guerre precedenti, l’Egitto non chiedeva il permesso a Israele per mandare aiuti a Gaza. Lo strano comportamento egiziano questa volta può essere ricondotto a due ragioni.
In primo luogo, il regime egiziano ha delle preoccupazioni relative alla sicurezza territoriale. Ufficiali israeliani hanno espresso il desiderio di trasferire almeno metà della popolazione di Gaza nel Sinai. Il Cairo ha deciso di rispondere a queste minacce semplicemente sigillando Gaza e appellandosi ai palestinesi affinché restino nella loro terra.

IN SECONDO LUOGO, l’influenza regionale del Cairo è in declino costante dal colpo di stato militare del 3 luglio 2013, che ha portato al potere il ministro della Difesa di allora, Abdel Fattah al-Sisi. Il Cairo dipende dagli sceicchi del Golfo arabo per restare a galla, dal momento in cui al-Sisi ha cominciato a sperperare la ricchezza del Paese in progetti elefantiaci. Il debito estero egiziano al momento ha superato i 160 miliardi di dollari.
Il colpo di stato ha anche inaugurato la crescente alleanza fra il Cairo e Tel Aviv. Israele è diventata una dei principali sostenitori di al-Sisi, felice della deposizione, a opera di quest’ultimo, del presidente eletto dei Fratelli musulmani, della sua posizione fortemente anti islamista, e del fatto che le consenta di condurre attacchi aerei senza precedenti contro presunti obiettivi terroristici nel Sinai.

TUTTAVIA è proprio questo declino economico, e la dipendenza da finanziatori regionali, che ha comportato l’erosione dell’influenza egiziana nella regione, perfino nelle sue tradizionali zone d’influenza come il Sudan, la Libia e la Palestina. Questo ha fatto sì che un numero limitato di convogli umanitari raggiungessero Gaza, solo quando Israele lo “consentiva”, e solo dopo che erano stati ispezionati dalle forze armate israeliane. Anche i pochi palestinesi feriti evacuati in Egitto sono stati prima approvati da Israele.
Il convoglio internazionale in preparazione in Egitto ha la propria importanza locale, che non è limitata a un semplice atto di beneficenza degli egiziani per i loro vicini palestinesi.

IL CONVOGLIO sta venendo organizzato nel pieno di una ripresa della politica dal basso, a lungo repressa da al-Sisi. Il colpo di stato del 2013 è stato seguito da strette sul dissenso di ogni genere, che hanno condotto allo sradicamento dell’opposizione. Al-Sisi ha preso di mira attivisti islamisti e laici, smantellato i partiti di opposizione, sciolto i gruppi studenteschi, distrutto le organizzazioni della società civile.
Mentre il dittatore precedente, Hosni Mubarak, “gestiva” il dissenso, al-Sisi lo “sradica” completamente. La risposta automatica a ogni azione indipendente dallo stato, anche se non apertamente politica, è la repressione.
Rivitalizzati dalla crisi economica che ha indebolito il regime, i dissidenti in Egitto hanno ripreso il loro attivismo, benché lentamente e un passo per volta. Quest’anno si è assistito a successi elettorali anti regime e a mobilitazioni nei sindacati. Per la prima volta in quasi un decennio, con l’inizio della guerra in Palestina al Cairo e altrove si sono svolte proteste di strada.

NON È UNA COINCIDENZA che gli organizzatori dietro il Global Conscience Convoy siano membri del Sindacato dei giornalisti egiziani, nel quale i candidati di sinistra e indipendenti sono riusciti a sconfiggere figure vicine al regime in elezioni tenutesi pochi mesi fa, e ora controllano la leadership del sindacato – incarnando un cambiamento nell’umore generale della società faccia a faccia con al-Sisi e il suo regime.
La causa palestinese è stata a lungo un fattore di politicizzazione per la società egiziana. Azioni di solidarietà con la Palestina si sono storicamente sviluppate all’interno del dissenso anti regime locale. Dopotutto, la sollevazione del 2011 è stata il climax di un lungo processo di accumulazione del dissenso scatenato dalla Seconda Intifada nel 2000.