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«Ai cicloni del Mediterraneo dobbiamo ormai abituarci»

«Ai cicloni del Mediterraneo dobbiamo ormai abituarci»Le strade di Derna dopo l’alluvione foto del governo libico – Ap

Gli esperti Federico Grazzini, meteorologo presso la Struttura IdroMeteoClima dell’Arpae Emilia-Romagna e il climatologo Antonello Pasini

Pubblicato circa un anno faEdizione del 13 settembre 2023

Daniel è arrivato in Libia dalla Grecia, dov’è stato nominato. «Le alluvioni fortissime nel paese ellenico sono state l’inizio di questa tempesta, un ciclone che si è formato sul Mediterraneo, molto intenso anche a causa del forte contributo di vapore acqueo, causato dalle temperature molto calde di Mediterraneo e Atlantico» racconta Federico Grazzini, meteorologo presso la Struttura IdroMeteoClima dell’Arpae Emilia-Romagna. Dopo aver stazionato sulla Grecia per due o tre giorni, «scaricando piogge record, si è spostato verso lo Ionio, sfiorando l’Italia. Sul mare – aggiunge Grazzini – ha riacquistato potenza, sviluppando caratteristiche tipiche dei cicloni tropicali».

Arrivato sulla Libia, «non si è dissipato subito andando a impattare sulle coste del paese, ma ha seguito quasi tutta la linea di costa e oggi (ieri, ndr) pur avendo perso d’intensità era osservato in Egitto. Anche se non abbiamo i dati libici, è certo che abbia scaricato grandi quantità di pioggia, allagando diverse città, tra cui anche Bengasi, finché non ha raggiunto Derna, cittadina di 100mila abitanti, allo sbocco di una sorta di valle incisa, dove scorre un torrente su cui sono costruiti due sbarramenti. Entrambi sono saltati e improvvisamente su Derna è arrivata una quantità d’acqua mostruosa» spiega Grazzini.

SECONDO IL CLIMATOLOGO Antonello Pasini siamo di fronte a un altro episodio che rende quanto mai attuale la tesi del suo libro L’equazione dei disastri: «Il cambiamento climatico è un fattore, l’altro è la vulnerabilità, la fragilità dei territori». Così, il crollo di due dighe costruite lungo il fiume Wadi, che hanno liberato una quantità enorme di acqua che ha causato l’inondazione della città di Derna, in Cirenaica, ha amplificato l’effetto di per sé disastroso delle precipitazioni causate da un uragano mediterraneo, medicane dalla contrazione dell’inglese Mediterranean hurricane, che ha preso il nome di ciclone Daniel.

Pasini è primo ricercatore dell’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del Cnr, docente di Fisica del clima all’università Roma Tre e primo firmatario – tra l’altro – dell’appello di fine luglio ai giornalisti, per chiedere di parlare delle cause del cambiamento climatico e delle sue soluzioni. «Fenomeni di questo tipo – spiega al manifesto – storicamente sono stati abbastanza rari nel Mediterraneo, ma oggi rischiano di diventare frequenti, perché in tutto il bacino c’è stato un cambiamento nella circolazione dell’aria, in passato legata all’anticiclone delle Azzorre, con la salita di anticicloni africani molto forti.

Quando l’aria molto calda di questi anticicloni si inoltra verso il Centro o il Nord Europa, l’aria che sale viene “sostituita” da aria fredda, che scende ai suoi lati, a Ovest e a Est. In questo caso, in particolare, a Est si è formato un ciclone extra tropicale, una zona di bassa pressione con venti che ruotano in senso antiorario e precipitazioni molto forti. Nell’ultima mezza giornata di vita probabilmente è diventato un uragano mediterraneo, che ovviamente è un po’ più potente» sostiene Pasini.

UNO DEI FATTORI che hanno innescato la tragedia libica è il calore del Mediterraneo, che nel 2023 ha raggiunto in alcune zone temperature superiori ai 30 gradi centigradi. «Questi eventi particolarmente violenti vengono favoriti dal mare estremamente caldo: le molecole di vapore acqueo sono i mattoni su cui si costruiscono le nuvole, c’è cioè più materiale per la loro formazione. Inoltre, questo mare rilascia calore in atmosfera, una forma di energia che, seguendo le leggi della termodinamica, l’atmosfera non è in grado di trattenere e che così finisce per essere scaricata sui territori circostanti».

L’osservazione di quanto accade sempre più spesso e con maggior intensità, suggerisce un nuovo modello coordinamento, capace di superare i confini regionali: «La nostra unità geografica e climatica è quella Mediterranea – riprende Federico Grazzini – e dato che oggi questa tipologia di ciclone sta diventando più frequente e anche la loro intensità aumenta, è fondamentale creare un centro mediterraneo di coordinamento per la previsione e monitoraggio degli uragani mediterranei, i medicanes». Perché prevedere un evento estremo può aiutare ad affrontarlo al meglio, a difendere i cittadini.

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