Affetti da shell shock: la grande guerra nella trilogia romanzesca di Pat Barker
Scrittrici inglesi «Rigenerazione», da Einaudi Stile Libero
Scrittrici inglesi «Rigenerazione», da Einaudi Stile Libero
La prima guerra mondiale è stata per l’Europa un dramma sconvolgente, non solo per l’enorme quantità di vittime (dieci milioni di soldati uccisi), ma anche perché la vita al fronte era segnata dalla inutile reiterazione di assalti micidiali e dallo stare sospesi, «come d’autunno sugli alberi le foglie». Pochi autori hanno raccontato gli effetti della guerra di trincea sui combattenti sopravvissuti, le angosce, la perdita di tutte le categorie che abitualmente ordinano la vita, meglio di Pat Barker (all’anagrafe Patricia Mary W. Drake) in Rigenerazione, che ora Einaudi Stile libero ripubblica in un unico volume La trilogia con gli altri due romanzi che gli hanno fatto seguito subito dopo (L’occhio nella porta e La strada fantasma) (traduzione di Norman Gobetti, pp. 868, € 23,00).
Con una esplorazione ruvida ed efficace Barker disegna – attraverso il ricordo dei protagonisti, ufficiali sofferenti di disturbi psichici post-trauma – un mondo smarrito e devastato, stretto fra sofferenze smisurate e una speranza sottile di rinascita e di accesso al domani.
L’enorme quantità di disturbi mentali aveva spinto gli alti gradi della British Expeditionary Force a promuovere degli appositi centri di cura: la resurrezione che Barker racconta è quella dei ricoverati nel 1917 al Craiglockhart War Hospital di Edimburgo. Ad ascoltarli, uno psichiatra effettivamente operativo in quell’ospedale, William H. Rivers, neurologo di fama e membro della Royal Society, ma anche antropologo, più volte in missione in Melanesia e in India. Devoto alla missione di recuperare gli ufficiali alla salute, e così alla guerra (così come faceva con integrale spirito militarista il suo collega canadese Lewis Yealland), Rivers si concentra sui casi di shell-shock – letteralmente shock da proiettile o da granata – e fra i pazienti effettivamente transitati a Craiglockhart racconta di Robert Graves e dei poeti Wilfred Owen e Siegfried Sassoon, brillante ufficiale, premiato con la croce al valor militare, che aveva rinunciato all’onorificenza e dichiarato in un manifesto la sua contrarietà alla guerra.
Tra le figure immaginarie, invece, davvero cruciale è quella di Billy Prior un ufficiale tra i pochi provenienti dalle classi popolari, ricoverato per mutismo e asma. Bisessuale, Prior troverà una soluzione alla sua vita insieme a una donna, Sarah, della working class londinese. Le scorribande dell’ufficiale al di fuori dell’ospedale portano all’evidenza, soprattutto nel secondo volume, un ritratto vivace delle condizioni e delle contraddizioni della società inglese.
Ma il personaggio di Prior serve a Barker soprattutto per mostrare il carattere bilaterale della relazione tra medico e paziente: evitando di ricorrere all’elettroshock, Rivers sceglie con i suoi pazienti il dialogo, e con un metodo vicino a quello freudiano, scava nel passato di Prior per fargli ritrovare non solo la guarigione dai sintomi psicosomatici ma un più profondo equilibrio.
Tuttavia, anche Rivers, sebbene mai stato in trincea, è affetto, come Prior non manca di segnalargli, da vuoti di memoria e a volte da balbuzie, ciò che indurrà il medico a indagare anche sul suo passato. Ne verrà fuori un trauma infantile e il precoce rapporto difficile non solo con l’autorità paterna ma anche con un giovane amico di famiglia, Charles Dodgson, che sarebbe diventato noto come Lewis Carroll.
Un episodio, tra tanti, del suo passato induce Rivers a riflettere anche sul suo lavoro di antropologo: un giorno aveva incontrato in Melanesia un gruppo di indigeni, e aveva aperto la conversazione con loro tramite questa futile domanda: cosa faresti se guadagnassi o se trovassi una ghinea? A quel punto, una indigena gli aveva messo un dito sul petto e chiesto di dire cosa ne avrebbe fatto lui. Indotto, per questa via, a raccontare qualcosa della sua vita di studente a Cambridge, per molti aspetti assai restrittiva, Rivers aveva suscitato una crescente ilarità negli indigeni: «E all’improvviso ho capito che… noi non eravamo la misura di tutte le cose ma che non c’era alcuna misura».
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