A 20 dalla legge Bossi-Fini e dalla nascita del sistema di accoglienza diffusa Sprar, oggi rete Sai, il Tavolo nazionale asilo e immigrazione avanza una proposta di riforma in sei punti che nasce da uno studio condotto tra gli operatori.

Isolata, rassegnata, con le sole proprie forze è la ricerca, realizzata tra giugno 2020 e settembre 2021, che ha raccolto il punto di vista di chi ogni giorno si confronta con i limiti e le opportunità del sistema italiano, ma ha rare occasioni di far emergere il proprio punto di vista. 60 operatori con 15 o più anni di esperienza, richiedenti asilo e rifugiati e 112 lavoratori rappresentativi di 19 regioni e 966 strutture hanno risposto a una serie di quesiti orientati a fornire una lettura sistemica dello stato dell’arte dei centri e dei progetti di accoglienza.

Emerge l’idea che i punti di forza del sistema sono l’accoglienza nei piccoli appartamenti, la competenza degli operatori e la progettazione individualizzata. Mentre gli aspetti più problematici riguardano le grandi strutture, le procedure amministrative e la volontarietà dell’adesione dei comuni al sistema Sai (l’acronimo sta per Sistema di accoglienza e integrazione). Un altro punto debole è la mancanza di obiettivi condivisi tra tutti gli attori impegnati nell’accoglienza dei cittadini stranieri. «La rete costruita è ancora, dopo molti anni, fondamentalmente fragile perché legata alle persone. È la disponibilità e sensibilità dei singoli a garantire il superamento delle barriere. In generale c’è il senso che per i rifugiati ogni cosa sia un favore», si legge nel rapporto.

Le percezioni maggiormente diffuse tra gli operatori riguardano tre caratteristiche dell’accoglienza italiana: troppa burocrazia, che ostacola lo sviluppo dei servizi; auto-organizzazione, cioè capacità del terzo settore di produrre autonomia e integrazione; competenza e professionalità degli operatori come elementi capace di fare la differenza. Restano le difficoltà legate a una governance frammentata e al welfare territoriale non integrato. «La ricerca cattura uno stato di “rassegnazione” del mondo dell’accoglienza, il cui impegno riece a ottenere importanti risultati nonostante la criticità di un sistema sempre più burocratizzato e una mancata integrazione al welfare territoriale», conclude lo studio. Secondo cui mancano idee e programmazione per migliorare e far crescere il sistema, che al 15 giugno scorso ospitava 88.918 persone.

A partire da questi risultati il Tavolo immigazione e asilo, coalizione che raggruppa le principali organizzazioni della società civile impegnate per promuovere i diritti delle persone migranti, avanza al governo una proposta di riforma dell’accoglienza in sei passi. Innanzitutto trasferire le funzioni amministrative ai comuni, sulla base di quote stabilite proporzionalmente agli abitanti, e trasformare il Sai nel sistema unico, mettendo fine al “modello binario”. Questo continua a dare priorità ai Cas, i centri di accoglienza straordinari diventati ormai norma.

Le associazioni chiedono poi di fermare la proliferazione di queste strutture e attuare un programma nazionale per il loro superamento, attraverso la progressiva sostituzione dei posti con quelli dei progetti Sai. Per farlo, sostengono, occorre anche modificare i capitolati di gestione dei Cas che premiamo le grandi strutture, nonostante funzionino peggio. Altre richieste riguardano un diverso rapporto con gli enti locali, per una programmazione condivisa e modalità di consultazione permanenti, e il sostegno all’accoglienza in famiglia. Questo canale ha avuto un’accelerata dopo la recente crisi ucraina e l’arrivo di oltre 137mila persone. L’associazione Refugees Welcome Italia, impegnata a mettere in contatto italiani disponibili a ospitare e cittadini stranieri, chiede adesso un sostegno economico per tutte le famiglie che accolgono evitando ingiustificate discriminazioni.