Abiy Ahmed alle porte di Makallè. «Ma la guerra non finisce qui»
Etiopia/Tigray I carri armati delle forze federali pronte a circondare la capitale tigrina, ma Debretsion Gebremichael avverte: «La battaglia comunque prosegue e i combattimenti saranno aspri». Respinto al mittente l'ennesimo ultimatum, Addis Abeba invita i civili a mettersi in salvo
Etiopia/Tigray I carri armati delle forze federali pronte a circondare la capitale tigrina, ma Debretsion Gebremichael avverte: «La battaglia comunque prosegue e i combattimenti saranno aspri». Respinto al mittente l'ennesimo ultimatum, Addis Abeba invita i civili a mettersi in salvo
L’esercito federale etiope dopo aver conquistato le principali città del Tigray (Shire, Adua, Axum) si appresta ad entrare nella capitale Makallè. Almeno sul piano militare pare di essere giunti a un primo end over.
Il premier etiope Abiy Ahmed via Twitter ha dato «72 ore di tempo» ai leader del Tigray per arrendersi. «Ai membri della cricca distruttrice del Fronte di Liberazione del Tigray: il vostro viaggio di distruzione è arrivato alla fine. Arrendetevi pacificamente entro le prossime 72 ore, ammettendo di aver raggiunto un punto di non ritorno. Cogliete l’ultima possibilità».
Il portavoce militare Dejene Tsegaye ha dichiarato alla Ethiopian Broadcasting Corporation che «Makallè verrà circondata da carri armati» e ha invitato i residenti a «salvarsi». Tsegaye ha anche dichiarato che l’esercito etiope ha finora evitato gli obiettivi che avrebbero potuto mettere a rischio i civili, ma nel caso di Makallè «potrebbe essere diverso».
Al momento da parte dei leader del Tigray nessun cenno di cedimento, il governatore Debretsion Gebremichael ha dichiarato a France Press che la battaglia prosegue, i «combattimenti saranno aspri» e il governo federale «pagherà per ogni sua decisione», avvertendo che l’eventuale presa di Makallè non determinerebbe la fine del conflitto: «Finché la forza di occupazione sarà nel Tigray, i combattimenti non si fermeranno».
Ha poi respinto l’ultimatum dichiarando: «Siamo persone di principio, pronte a morire in difesa del nostro diritto di amministrare la nostra regione».
Secondo un documento riservato delle Nazioni unite visionato dal quotidiano britannico The Guardian nel Tigray si potrebbe profilare una «guerra di logoramento» di lunga durata. In pianura l’esercito etiope ha potuto avanzare in modo relativamente facile, ma sugli altipiani la storia potrebbe essere diversa anche perché i tigrini hanno una lunga esperienza di guerriglia incentrata su attacchi rapidi e fuga sulle montagne. Ne potrebbe scaturire un «conflitto asimmetrico prolungato e un’insurrezione permanente.
Da un punto di vista umanitario, più a lungo si protrarrà il conflitto, più grave diventerà la crisi». Già 36 mila persone hanno attraversato il confine con il vicino Sudan in un territorio povero di risorse. Le agenzie umanitarie hanno rivolto un appello ai governi perché sostengano l’aiuto agli sfollati perché «siamo in corsa contro il tempo».
Sul piano diplomatico la mediazione dell’Unione africana non ha trovato interlocutori nel governo etiope, il cui portavoce ha spiegato: «Non negoziamo con i criminali … Li portiamo di fronte alla giustizia, non al tavolo delle trattative».
Nei giorni scorsi Debretsion aveva dichiarato che «tentare di governare il popolo tigrino con la forza è come camminare sulle fiamme». Il medemer (andare insieme, sinergia) teorizzato dal Nobel per la pace Abiy Ahmed: la convinzione che si possano riunire punti di vista diversi e persino contrari e si possa trovare un compromesso potrebbe fermarsi alle porte di Makallè.
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