Pneumatici bruciati e decine di palestinesi che tentano di raggiungere camion di aiuti umanitari, fermi al valico. È successo ieri pomeriggio a Rafah, sul lato palestinese del confine. Nessun ingresso in territorio egiziano, ma la tensione era altissima. Secondo un funzionario palestinese della Rafah Border Authority, citato da Al Arabiya, «è stato un tentativo degli sfollati di prendere gli aiuti con la forza. La polizia è stata dispiegata per proteggere i camion umanitari».

Si sono uditi colpi di arma da fuoco, catturati dai video giunti dal valico. Non è la prima volta che gruppi di sfollati, ridotti alla fame, assaltano i camion in transito nella Striscia. Ora hanno preso di mira quelli fermi ad aspettare, perché hanno fame. Poche ore prima, nei suoi account ufficiali, il governo israeliano aveva pubblicato immagini di 500 camion fermi a Rafah, accusando l’Onu di lasciarli lì a marcire.

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UN’ACCUSA smentita dalle Nazioni unite che da settimane denunciano i blocchi imposti da Israele e i divieti o i rallentamenti all’ingresso di cibo e medicine. Dopo le rivelazioni di Axios sull’ordine dato dal ministro delle finanze israeliano Bezalel Smotrich di bloccare al porto di Ashdod la farina inviata dagli Stati uniti, ieri il consigliere alla sicurezza nazionale della Casa bianca Jake Sullivan ha detto che «si aspetta che Israele rispetti il suo impegno» e ha assicurato che Washington sta facendo pressioni sull’alleato.

Non basta, la fame è ovunque. Gli sfollati devono aspettare ore in fila per un piatto caldo, denunciava ieri l’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi. E a volte nemmeno riescono ad averlo e mangiano erbacce e foglie.

Non mangiano dentro il Nasser Hospital di Khan Yunis, preso d’assalto e occupato due giorni fa dall’esercito israeliano. «Siamo stati costretti a spostare tutti i pazienti e i feriti nel vecchio edificio dell’ospedale», dice il direttore Nahed Abu Taima. È lì, nel vecchio edificio, che sono stati confinati a centinaia in quello che Tel Aviv definisce un raid «preciso e limitato».

«Molti pazienti lottano per la loro vita – ha aggiunto – Ci sentiamo impotenti, incapaci di fornire assistenza medica». Sei pazienti sono morti per mancanza di ossigeno e cure. Due donne hanno partorito al buio, mentre l’esercito compiva un’incursione nel reparto maternità. Due dottori sono stati arrestati e rilasciati qualche ora dopo. Altri 12 restano agli arresti, con una ventina di civili, accusati da Israele di aver preso parte all’attacco di Hamas del 7 ottobre, in cui sono stati uccisi 1.200 israeliani.

IERI le autorità israeliane hanno detto di aver trovato nell’ospedale mortai e granate, ma non hanno reso pubbliche le immagini. Il portavoce Hagar parla anche della possibilità di trovare corpi di ostaggi. L’Oms insiste: fateci entrare al Nasser. Richiesta negata, mentre sale a 28.775 il bilancio ufficiale degli uccisi a Gaza dal 7 ottobre, bilancio secondo molti sottostimato per l’impossibile conteggio di migliaia di dispersi sotto le macerie.

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E mentre il Times of Israel pubblica un documento dell’intelligence militare secondo cui una sconfitta di Hamas è impossibile, il membro del gabinetto israeliano Benny Gantz ieri ha ribadito le intenzioni: «O i nostri ostaggi saranno riconsegnati o allargheremo l’operazione su Rafah – ha detto – Non ci sarà un solo giorno di cessate il fuoco. Non ci saranno rifugi sopra o sotto terra a Gaza. Anche nel mese di Ramadan, il fuoco continuerà».

Parole che non rassicurano gli alleati occidentali che da giorni fanno pressioni per impedire a Israele di muoversi verso la città che ospita oggi 1,5 milioni di palestinesi, su un totale di 2,3. E la violenza supera la frontiera di Gaza per tornare nel sud di Israele e nei Territori occupati. Ieri due israeliani sono stati uccisi e quattro feriti a Re’em, a una fermata dell’autobus, sotto i colpi sparati da Fadi Jamjoum, un palestinese del campo profughi di Gerusalemme est, Shuafat.

L’UOMO è stato ucciso da un civile armato, lodato dal ministro di ultradestra Ben Gvir secondo cui «ciò dimostra che le armi salvano le vite» (sic): «Va fatto a Gaza, in Libano, ovunque. Zero tolleranza, distruggeteli». Poco dopo polizia ed esercito hanno chiuso l’intero campo e hanno arrestato il padre e il fratello di Jamjoum. Un palestinese è stato colpito alla testa e ucciso da un proiettile. Era alla finestra a riprendere il raid con lo smartphone.

«Masse di poliziotti e soldati sono nel campo e attaccano i residenti. È una forma di punizione collettiva, dicono i palestinesi, a cui spesso sono soggetti quando c’è un attacco», riporta da Shuafat la corrispondente di al Jazeera Hamdah Salhut. Nel pomeriggio gli scontri nel campo sono proseguiti e si sono allargati alla città cisgiordana di Hebron.