Dall’inizio di novembre l’India del nord è entrata nella fase «camera a gas», come è ormai ribattezzato da qualche anno anche sui media locali il periodo in cui la concentrazione di agenti inquinanti nell’aria supera, e di molto, la soglia di guardia. La prima settimana di novembre le misurazioni nella capitale New Delhi hanno toccato il record annuale, quando tra giovedì 2 e venerdì 3 novembre l’indicatore dell’Air Quality Index (AQI) ha raggiunto quota 500, il massimo. Significa che la concentrazione di PM 2.5 nell’aria è quasi cento volte quella giudicata «non tossica» dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

MENTRE SCRIVIAMO, le cose sono lievemente migliorate, con l’AQI che venerdì 10 novembre per New Delhi segna «solo» 188: aria «insalubre». Effetto della pioggia, che ha drasticamente abbassato i livelli che solo un giorno prima erano ancora abbondantemente sopra quota 450. Le autorità di New Delhi hanno chiuso le scuole dell’obbligo – dove possibile, continuando la didattica da remoto – , hanno interrotto le attività dei cantieri «non essenziali» e per qualche giorno hanno introdotto un sistema di targhe alterne per la circolazione cittadina. Iniziativa ritirata all’inizio di questa settimana, dopo che la Corte suprema indiana l’aveva bollata come una misura squisitamente «di facciata», ma che pare sarà reintrodotta da lunedì 13 novembre.

Il 12 novembre, infatti, cade la festività induista di Diwali, chenormalmente viene celebrata con petardi e fuochi d’artificio che aggiungeranno particolato al particolato e, con ogni probabilità, spingeranno i livelli di concentrazione di PM 2.5 verso i picchi della scorsa settimana.

SECONDO L’AIR QUALITY LIFE Index, un osservatorio scientifico dell’Università di Chicago, l’India è il secondo Paese più inquinato del mondo, dopo il Bangladesh. Di media, una persona che vive a New Delhi a causa della qualità dell’aria che respira in città perde quasi 12 anni di aspettativa di vita.A livello nazionale, il particolato nell’aria è la principale minaccia alla salute della popolazione indiana, peggio delle malattie cardiovascolari. Il problema non è circoscritto solo alla capitale indiana, ma si estende per gran parte dell’India settentrionale.

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Le cause del picco di inquinamento sono ben note e da anni sono alla base di numerosi studi scientifici di dominio pubblico. Eppure, anno dopo anno, la situazione non sembra migliorare affatto. Il primo problema è geografico: l’India settentrionale si trova appena sotto la catena montuosa dell’Himalaya, che riduce di molto il ricambio naturale dell’aria.
A questo bisogna aggiungere il calo delle temperature, che fa stagnare l’aria più «pesante» sui centri urbani, l’assenza di piogge e l’inizio della stagione degli incendi nelle zone rurali intorno a New Delhi.

DOPO LA STAGIONE della raccolta pre-invernale, i contadini nella pianura che si estende lungo gli stati di Punjab, Haryana, Rajasthan e Uttar Pradesh – che circondano New Delhi – sono soliti bruciare i residui delle colture, per preparare i campi alla nuova semina. Ciò significa che da qualche giorno, tutto intorno a New Delhi, sono stati appiccati migliaia di falò, nonostante sia proibito dalla legge. I fumi vengono raccolti dai venti stagionali e trasportati, in direzione sud-est, proprio verso la capitale indiana. Dove già di norma più di 33 milioni di persone vivono destreggiandosi in un traffico ormai leggendario.

La scorsa settimana, nel solo stato del Punjab – il «granaio dell’India» – è stato registrato un incremento dei falò del 740%, tanto che la Corte suprema indiana è dovuta intervenire per intimare all’amministrazione locale di «far smettere i falò ad ogni costo». Più facile a dirsi che a farsi. Per il governo del Punjab, guidato dall’Aam Aadmi Party (AAP), significherebbe dover multare migliaia di contadini che rappresentano la spina dorsale dell’economia locale. E farlo, tra l’altro, in piena campagna elettorale, con AAP che ha aderito alla coalizione delle opposizioni che sfiderà la maggioranza guidata da Narendra Modi alla prossima tornata elettorale di metà 2024. Un suicidio politico, in pratica, e infatti di multe non se ne vedono.

ANCHE PERCHÉ LE COSE stanno lentamente cambiando, e addossare l’intera responsabilità dell’inquinamento atmosferico indiano ai contadini sarebbe ingiusto e miope. Sempre più contadini stanno adottando metodi di compostaggio dei residui organici sempre meno inquinanti dei falò, che però richiedono macchinari costosi e una volontà ad ammodernarsi che non sono esattamente diffuse nel settore. Un po’ per resistenze di natura anagrafica, un po’ per mancanza di fondi adeguati che i sindacati dei contadini chiedono al governo centrale e da anni vengono negati.

La direttiva della Corte suprema del 7 novembre 2023 che intimava di bloccare i falò «immediatamente» non era rivolta solo al Punjab, ma a tutti gli Stati che circondano New Delhi, quindi anche ad Haryana, Uttar Pradesh e Rajasthan. E, non a caso, le parole del giudice Sanjay Kishan Kaul sono state molto dure: «L’inquinamento non è un gioco politico dove uno Stato dà la colpa all’altro a seconda della fazione politica. È un crimine contro la salute delle persone.»

DA SETTIMANE infatti, tutto l’arco parlamentare sta facendo a gara a incolpare la fazione opposta di negligenza, con Haryana e Uttar Pradesh che sono governati dal Bharatiya Janata Party (BJP) – il partito che, con Narendra Modi, governa anche a livello federale – e Punjab e Rajasthan governati rispettivamente da AAP e dall’Indian National Congress (INC) – il partito della famiglia Gandhi – entrambi all’opposizione.

Secondo le rilevazioni dell’Indian Institute of Tropical Meteorology, però, l’inquinamento dei falò contribuisce all’inquinamento atmosferico totale della città di New Delhi solo per il 30%. Il resto è traffico, costruzioni, fabbriche di mattoni, combustione di biomassa e centrali a carbone. Settori che dipendono dalle decisioni prese – e soprattutto da quelle non prese – dal governo federale.