Ci voleva l’arrivo nella città del tricolore per la prima vittoria tricolore a questo Giro. Nonostante fughe andate via a rate – prima Tagliani e Tasselli, poi il belga de Bondt, risucchiato in vista dell’ultimo chilometro – l’esito di una tappa liscia come un biliardo, che nell’ultimo tratto fa il verso a una canzone di Ligabue, è scontato: la volata.

Quello che non era scontato era che Dainese si mettesse dietro tutti i più grandi tra le ruote veloci. Con davanti mostri sacri come Démare e Gaviria, a chi prendere la scia? A tutti e due, deve aver pensato Dainese, che prima si acquatta dietro a loro, quasi a nascondersi, e poi li infila trionfando a braccia alzate sul traguardo.

A Sant’Arcangelo, dove si muovono i primi passi in direzione Reggio Emilia, manca il protagonista assoluto del momento, nonché tra i favoriti di giornata, Biniam Girmay. Sarà stata l’emozione, sarà stata la (per il momento) scarsa abitudine a brindare a fine corsa, Girmay indirizza male la bottiglia di spumante, il tappo assume la traiettoria di una volata impostata male e lo lascia orbo. Se ne va a casa uno dei duellanti, lasciando solo Van der Poel. Possono però stare tranquilli gli eritrei che si affollano al bar davanti alla TV, come usava da noi una volta: di Girmay se ne risentirà parlare.

La tappa è anche un po’ un attraversare una frontiera, quella tra la Romagna e l’Emilia. Se ne parla, mentre il gruppo attraversa lo stupendo paesaggio della bassa (eppure c’è a chi non piace: mistero), punteggiato di cascine col bravo albero di gelso a fianco, con Fausto Anderlini, ed è, come sempre, un bel chiacchierare. “Il passaggio dalla Romagna all’Emilia è il passaggio dall’identità territoriale e quella urbana; il prevalere della campagna sulla città e viceversa. Il ribellismo disperato e mangiapreti dei romagnoli e la riflessività degli Emiliani”. Cosa tiene insieme tutto questo? “I romani. La forza centripeta della via Emilia è più potente di ogni particolarismo”.

“E poi il Partito. Il movimento bracciantile è ciò che ha dato sostanza culturale ad un’entità altrimenti solo funzionale, l’Emilia-Romagna appunto”. E poi? “E poi la bicicletta. Il proletariato emiliano-romagnolo è proletariato ciclista per eccellenza. Gli scioperi dei braccianti facevano strada su due ruote. E quindi Coppi…”. Che c’entra Coppi, austero piemontese? “Coppi che si eleva sui pedali è l’elevazione dei proletari. Poco conta come la pensasse. Conta ciò che in lui si vedeva.

E siccome, come si diceva, il proletariato ciclista per eccellenza è quello nostro, Coppi era emiliano-romagnolo”. Logicamente il sillogismo tiene fino a un certo punto, ma lo si lascia al lettore volentieri.