Non sarà più il campionato più bello del mondo ma è sicuramente tra i più complicati per chi deve giocarlo. L’abilità della maggior parte dei tecnici che siedono sulle panchine della Serie A fa di ogni partita un rebus tattico. Magari a scapito della bellezza. Ma si sa, in Italia si preferisce guardare al risultato più che al bel gioco.
Il sipario sta per alzarsi. A mezz’agosto, quando in tempi ormai lontani si giocavano ancora le amichevoli di preparazione. Del resto, un calendario affollatissimo di eventi rende necessaria una partenza in piena estate. A beneficio anche delle tv che hanno l’urgenza di riempire i loro palinsesti sportivi.

TUTTI ALLA CACCIA DELL’INTER. È la squadra Campione d’Italia, la più forte tecnicamente, la più “verticale” come filosofia di gioco. Inzaghi si troverà di fronte colleghi agguerriti. A cominciare da Antonio Conte che, approdato al Napoli, ha il compito di riportare i partenopei al vertice. È un vincente per temperamento e darà battaglia. Apparentemente più mite, Thiago Motta porterà in dote a Torino, sponda Juventus, tutto quello che di buono è riuscito a ottenere a Bologna. Obiettivo da far tremare i polsi per il giovane allenatore brasiliano: far tornare vincenti i bianconeri. Il Milan non vuole essere una comprimaria e per il rilancio sceglie il portoghese gentile, Paulo Fonseca. Gentile lo sarà anche quest’anno. Ma forte di un‘ esperienza sfortunata in Italia con la Roma, forse avrà anche pensato a come difendersi. Magari attaccando.

Su queste quattro squadre si appuntano le maggiori attenzioni in chiave scudetto. Ma non è detto che la griglia delle prime possa essere circoscritta solo a loro. Le outsider non mancano mai. Fanno parte dell’imprevedibilità del calcio. E comunque di squadre attrezzate per fare bene ce ne sono. Per esempio, la Roma di De Rossi o l’Atalanta di Gasperini che ha ben figurato contro lo stratosferico Real Madrid nella finale di Supercoppa Europea. Con un occhio rivolto al Bologna che, approdato lo scorso anno in Champions, cercherà di confermarsi con il nuovo tecnico Vincenzo Italiano.

MA ALLA FINE a scendere in campo saranno loro, gli imprescindibili protagonisti, gli attori della rappresentazione che si consuma sul prato: i calciatori. I risultati delle loro squadre dipenderanno in gran parte dalle prestazioni che saranno capaci di offrire. Si calcola che i migliori giocheranno fino a 85 partite stagionali tra campionato e Coppe. Un bel tour de force.

Il calcio italiano che affronta la nuova stagione è, però, un calcio ferito. La delusione per l’Europeo chiuso male e in fretta, troppo, pesa su bilanci tecnici e leadership. Il presidente federale Gravina dovrà sicuramente difendersi dagli attacchi che prendono forza dalla deludente nazionale. E la politica non sta alla finestra. In barba al principio dell’autonomia dello sport, il governo di destra sembra soprattutto interessato a piazzare un suo dirigente di fiducia. Il calcio è troppo popolare per non suscitare voglie di potere.
Il tema tecnico più scottante è quello del talento scomparso. La Nazionale ne è stata una prova sconcertante ma prevedibile. Che fine hanno fatto i campioni? Ci siamo tutti stropicciati gli occhi ad ammirare il minorenne Lamine Yamal trascinare la Spagna alla vittoria continentale. E ci siamo chiesti perché l’Italia non abbia più da tempo un Baggio, un Totti, un Del Piero, un Pirlo. E soprattutto perché da noi non si abbia fiducia nei giovani.

UN TEMA CENTRALE: l’accesso dei bambini alla pratica del calcio. Scomparso o quasi il mondo degli oratori oggi si paga per giocare, e non tutte le famiglie possono permettersi una scuola calcio per i propri figli, visti i costi. Quanti talenti potrebbero essersi persi per strada e quanti potrebbero non essere stati aiutati a sbocciare?

Il processo di privatizzazione del calcio è in atto da tempo. Non solo per praticarlo, anche solo per guardarlo. I prezzi degli abbonamenti tv sono in costante aumento. Gli abbonati non ricevono nemmeno più i preavvisi. Si trovano le nuove tariffe in bolletta e se non va bene hanno solo l’arma della disdetta, cioè della rinuncia a vedere il calcio. È chiaro che le fasce economicamente più fragili sono via via espulse dal mercato. Nei complicati bilanci familiari è davvero difficile che l’abbonamento tv possa essere considerato una priorità. La risposta al calo di abbonamenti, che c’è anche se l’accesso ai dati industriali non è agevole, è aumentare i prezzi.

Strano destino quello del tifoso. Involontariamente ha dato vita alla grande industria del calcio, rimanendone poi vittima. L’aumento di appassionati ha trasformato nel tempo il sistema da senza scopo di lucro a business. Il fiuto delle tv e dei presidenti, che volevano più soldi, ha fatto il resto. Singolare è la natura di questa anomala industria che produce un bene assolutamente immateriale: la passione. Perché è la passione che spinge l’appassionato a comprare alimentando il mercato. Finché il tifoso non si convincerà, definitivamente, di essere ormai solo una sorta di bancomat, un semplice cliente e non più la ragione stessa dell’esistenza del calcio. Allora girerà le spalle e se ne andrà, forse mettendo in crisi tutto il sistema. Qualcosa sta scricchiolando da tempo. Marcelo Bielsa, detto el loco – il pazzo – non è soltanto un grande allenatore argentino, oggi ct dell’Uruguay. È una sorta di visionario innamorato del gioco del pallone. Le sue dichiarazioni fanno sempre scalpore. «Stanno rubando il calcio al popolo», ha affermato recentemente, individuando negli spregiudicati interessi economici il segno del suo declino: da grande espressione popolare, da fenomeno sociale in cui grandi masse si sono identificate, a fabbrica di soldi più che di sogni.

In Italia il sistema calcio affoga nei debiti. Il rosso ammonta ad oltre 5 miliardi di euro, naturalmente suddivisi in modo difforme. Si va dagli 800 milioni di Inter e Juventus agli 80 della Fiorentina. Ci sono anche società più virtuose. Ma è davvero singolare che un sistema industriale in perdita non veda i suoi manager aprire una riflessione su come cambiare le cose – magari spendendo meglio e con più oculatezza – e al contrario chieda sempre più quattrini. Persino, in modo davvero audace, ai governi. Entrato in una spirale trita soldi, il calcio italiano accetta anche di andare a giocare le finali di Supercoppa italiana in Arabia Saudita, in cambio di denaro, dimenticandosi dei diritti umani calpestati in quel paese e delle centinaia di condanne a morte eseguite ogni anno. Un limpido caso di sportwashing.

IL PALLONE continuerà a rotolare sui campi della serie A. E scatenerà discussioni, polemiche, gioia e malumori giocando sul sentimento che anima il tifoso da stadio e da tv che non cerca uno spettacolo da quel pallone: cerca vibrazioni di passione. Il calcio non sarà mai intrattenimento. Con i sentimenti non si scherza.

Piuttosto prepariamoci a dare l’addio ai raccattapalle. Quei ragazzini che raccoglievano il pallone dal campo per destinazione per restituirlo al calciatore sono stati aboliti. Al loro posto «coni», distributori automatici di palloni dai quali i giocatori preleveranno da soli quello da prendere a calci. Addio alle furbate dei raccattapalle tifosi che ritardavano di proposito la consegna all’avversario. Addio perdite di tempo studiate. La tecnologia del «cono» prende il sopravvento. Ai ragazzini rimarrà il solo compito di riempirlo. Nessun contatto diretto con i giocatori. Efficienza massima.

Speriamo anche che nessuno dimentichi mai che il calcio ha bisogno anche di umanità e cultura del rispetto, sul campo e sugli spalti, per rimanere quello che è stato nei suoi 167 anni di storia: molto semplicemente, uno sport.