Terminato il breve e intenso periodo dedicato agli inni nazionali e alle bandiere, alle medaglie olimpiche e alle lacrime di gioia e delusione, il tennis torna al suo circuito, fatto di premi in denaro e punti da guadagnare per scalare o conservare posizioni in classifica. Per chi tre settimane fa correva sulla terra rossa di Roland Garros, poco dopo aver calpestato l’erba di Wimbledon, ritrovarsi sul cemento canadese (Toronto per le donne, Montreal per gli uomini) e poi quello statunitense di Cincinnati, non è stato certo l’ideale.

E, INFATTI, le sorprendenti finali canadesi tra Jessica Pegula, tornata da poco a ottimi livelli, e Amanda Anisimova, giocatrice promettente che sembrava essersi persa dopo la morte del padre nel 2019, e tra l’inaspettato vincitore Alexei Popyrin e il redivivo Andrey Rublev, hanno dimostrato che a essere pronti erano proprio i tennisti assenti o prematuramente eliminati in Francia.
A Cincinnati, una volta ancora, in finale, si è riproposta Pegula, questa volta opposta alla favorita bielorussa Aryna Sabalenka che, guarda caso, a Parigi non era iscritta, forse per evitare l’imbarazzo di una bandiera che non poteva essere esibita, sicuramente perché reduce da un infortunio. E tra gli uomini è tornato di moda Jannik Sinner, il numero uno che tra malori e tonsilliti aveva perso prima del previsto a Wimbledon e che alle Olimpiadi aveva dovuto rinunciare per la seconda volta, dopo il forfait di Tokyo 2020/21.

Deluso per la precoce sconfitta rimediata in Canada contro Rublev, a Cincinnati si è preso la rivincita ai quarti proprio ai danni del russo. Una partita difficile da giudicare, con un’umidità ai limiti del tollerabile e un vento forte che alterava colpi e traiettorie e che rendeva comiche le movenze dei due contendenti, molto lontani nelle loro pose dalla plasticità delle statue greche. Nel complesso, però, riemergeva l’agonismo del numero uno che, pur fornendo una prestazione mediocre per i suoi livelli, riusciva a ribaltare una situazione negativa.

A contestare l’accesso nella finale del Mille in Ohio, è stato Alexander Zverev. Il tedesco di origine russa, attualmente, è il vero pretendente al primato nella classifica mondiale. Lui, a Parigi, ha sperato di bissare l’oro conquistato in Giappone. Estromesso da uno splendido Lorenzo Musetti (che, a sua volta, appesantito dalle fatiche recenti, ha salutato Cincinnati dopo un paio di match), Zverev si è rimesso in moto dimostrando più di Carlos Alcaraz e di Novak Djokovic, di esserci sempre. Una costanza di rendimento impressionante, anche al di sopra del gioco espresso, spesso farraginoso e timoroso.

Per Sinner, perciò, era importante superare il nativo di Amburgo. Un’operazione che nei precedenti incontri era accaduta una sola volta, nel 2020 a Roland Garros. Poi quattro sconfitte, l’ultima delle quali, a New York quasi un anno fa, molto amara che aveva fatto sorgere dei dubbi sulle autentiche capacità dell’italiano.

COME CON RUBLEV, anche con Zverev, Sinner non ha espresso il meglio di sé. Eppure col piglio di chi sopporta una brutta performance, si è preso una partita di puro agonismo, 7-6 5-7 7-6. Migliorando, paradossalmente, alla terza ora di gioco e dimostrando un’inattesa condizione fisica.
Nella notte (quella appena passata per chi legge), Sinner incrocerà la via del successo con Frances Tiafoe. Precedenti e classifica parlano a favore dell’altoatesino. Ma lo statunitense, la cui famiglia proviene dalla Sierra Leone, è imprevedibile, straripante, talvolta incline a deragliare, trascinando il suo talento nel caos. Con Holger Rune ha flirtato con la sconfitta, in particolare nel terzo set, quando sotto 4-5 (ed era 2-5) ha salvato due match-point, uno dei quali con la pallina che danzava sul nastro per poi ricadere beffardamente nel campo del danese. Alla sua prima grande finale in carriera, Tiafoe potrebbe essere l’uomo del destino in una stagione che finora nei Mille ha proposto sei vincitori diversi.