Internazionale

Zelensky, nuove «purghe» ai vertici. E chiede agli Usa missili a lungo raggio

Il presidente ucraino ZelenskyIl presidente ucraino Zelensky – Ap

Il limite ignoto L'Ad di Leonardo Cingolani: «Nessuno può dirsi al sicuro»

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 31 marzo 2024

Invece che al fronte, in Ucraina le rotazioni continuano ad avvenire perlopiù al vertice. Ieri Volodymyr Zelensky ha infatti rimosso dal loro incarico ben sei figure con compiti di responsabilità: in particolare, il primo assistente presidenziale Serhiy Shefir – fondatore assieme allo stesso Zelensky della casa di produzione televisiva Kvartal95, in carica dal 2019 e scampato a un tentativo di assassinio qualche mese prima della scoppio della guerra. Si tratta di una delle persone più vicine all’attuale presidente di Kiev, di cui ha favorito e sostenuto l’ascesa politica.

Oltre a Shefir sono stati licenziati altri tre consulenti, Mykhailo Radutsky, Serhiy Trofimov e Oleg Ustenko, la commissaria per la garanzia dei diritti dei militari, Olena Verbitskaya, e la commissaria per le attività di volontariato, Natalia Pushkareva. Non ci sono al momento motivazioni ufficiali per questa decisione, ma la realtà è che un rimpasto dell’apparato dirigenziale del paese è in atto da tempo – almeno da quando è stato rimpiazzato lo scorso febbraio il comandante delle forze armate Zaluzhny e, contestualmente, Zelensky aveva fatto trapelare in alcune interviste che ci sarebbe stato un «serio reset» ai piani alti (ancora quattro licenziamenti l’altro ieri, oltre al trasferimento “eccellente” di Oleksei Danilov all’ambasciata moldava). Una lunga analisi dell’Ukrainska Pravda conferma, attraverso fonti interne alla compagine governativa, che si tratta di un processo ampio destinato a interessare altre figure nei giorni a venire.

Ma per Zelensky sono forse più importanti i «cambi di passo» al di fuori del proprio paese. In un’intervista concessa al Washington Post, il presidente ucraino ha chiesto insistentemente che gli Usa si affrettino con gli aiuti militari e soprattutto che forniscano all’Ucraina i missili a lungo raggio Atacms, senza i quali Kiev «potrebbe essere costretta ad arretrare». La tattica paventata è quella di colpire obiettivi militari e aerei in Crimea, occupata dalla Russia ormai da dieci anni e territorio da sempre sensibile agli occhi di Mosca per via della base di Sebastopoli.

Altrimenti, ha quasi minacciato Zelensky, «l’Ucraina intensificherà i suoi contrattacchi nello spazio aereo russo, verso le infrastrutture energetiche e altri bersagli strategici». Dall’Ucraina agli Stati uniti cresce dunque la richiesta di armi e di rafforzamento militare, passando per le esternazioni dei leader europei e non da ultimo dell’ex-ministro Roberto Cingolani: «Nessuno può dirsi davvero al sicuro», ha detto ieri l’amministratore delegato della Leonardo.

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