«Il mondo non ci abbandonerà». Che ne fosse convinto davvero o che sentisse il bisogno di dirlo ad alta voce per rassicurare il suo popolo e la stampa internazionale cambia poco. Ciò che conta è che Volodymyr Zelensky si è mostrato deciso alla conferenza stampa di fine anno, ieri a Kiev. Tanto da poter annunciare una possibile nuova mobilitazione da ben 500 mila uomini, l’imminente arrivo di aiuti militari ed economici, l’ingresso del suo Paese nell’Ue e il rifiuto di una «partecipazione parziale nella Nato».

IL PRESIDENTE ucraino ha inoltre chiarito che non ci saranno elezioni politiche «finché durerà la guerra» e che i dissapori con il comandante in capo delle forze armate, Valerii Zaluzhny non sono così importanti in quanto i due hanno «rapporti professionali».

Il punto del discorso è che «non si sa quando finirà la guerra» perciò bisogna resistere in ogni modo possibile. Sul campo, con le alleanze e a parole. Per la prima volta da quando il 24 febbraio scorso i carri armati russi hanno oltrepassato il vecchio confine stabilito nel 1991 tra Russia e Ucraina, Zelensky ha detto palesemente che non può fare previsioni. Lontani i tempi di «il 2023 sarà decisivo», «l’estate caccerà i russi nelle proprie terre» o «l’occupazione russa ha i giorni contati».

Non è più tempo di quel tipo di proclami roboanti. Dopo il fallimento della controffensiva gli alleati non ci credono più. Zelensky sa che non è il momento di sfidare ciò che resta del blocco unito alle sue spalle. La cosiddetta «stanchezza della guerra» colpisce le opinioni pubbliche e viene usata nelle campagne elettorali, è al centro delle partite economiche interne all’Ue e basterebbe un niente per scatenare la proverbiale valanga. Dunque, pragmatismo.

La redazione consiglia:
In Ucraina torna il gelo e resta la guerra, ma in molti rientrano

«Non sappiamo quando la guerra finirà, ma sappiamo che servono più uomini per lo sforzo bellico» ha dichiarato il presidente, aggiungendo che sono i generali dello stato maggiore ad averli richiesti. Dichiarazione da non sottovalutare in quanto, almeno per ora, lo stato maggiore sono lui e Zaluzhny, oltre a tutti i generali che però in questo scontro possono ricoprire solo il ruolo di comprimari.

DI RECENTE il generale aveva criticato apertamente le scelte strategiche e tattiche di Zelensky, il quale non ha affatto gradito e ha chiuso i rapporti. Ieri Zaluznhny ha lanciato un nuovo affondo: l’attuale confusione del reclutamento è nata dalla decisione di Zelensky di allontanare i responsabili regionali degli uffici militari: «Erano professionisti, sapevano come fare, ma non sono più al loro posto». Zelensky li aveva definiti corrotti e aveva invocato un repulisti. Zaluznhy ha insistito: «È necessario tornare al modo in cui si lavorava prima».

Troppi dissapori per due uomini così ingombranti. Ma il generale non può essere allontanato, almeno per ora, gli Usa lo ritengono un interlocutore affidabile e competente. E perciò «manteniamo rapporti di lavoro», ha chiarito Zelensky, senza lesinare un affondo: «Deve essere responsabile del risultato sul campo di battaglia insieme allo Stato maggiore». Quindi il presidente sta ufficialmente incolpando il suo capo militare del fallimento dell’ultima operazione militare ucraina? Non direttamente. «Ci sono molte domande. Quella dell’offensiva è una domanda difficile».

Lo scontro è tutt’altro che chiuso. Anche perché Zelensky si è detto «non del tutto convinto» della presunta richiesta di mobilitazione speciale pervenuta dai generali. Che sia un modo per scaricare direttamente sull’esercito il biasimo della nuova coscrizione coatta non ci è dato saperlo. Ciò che è certo è che le forze armate ucraine hanno raggiunto numeri impensabili prima della guerra, quando il loro esercito ammontava a malapena a 300 mila uomini e i riservisti a circa 200 mila unità.

Oggi gli uomini e le donne in armi in Ucraina superano il milione. Di questi, la maggior parte si è arruolata spontaneamente a inizio guerra, un piccolo gruppo (presente dovunque e in ogni epoca) ha solo finto di immolarsi per la patria salvo poi presidiare per mesi le città nelle retrovie o i ministeri e l’ultima ondata è stata costretta con più o meno forzatamente. Ora, «non possiamo perdere i più coraggiosi, i migliori» che sono attualmente al fronte, «ma bisogna ragionare su un piano per una sorta di rotazione». Tuttavia, dove prendere altri 4-500mila soldati?

KIEV POTREBBE abbassare l’età di leva a 25 anni (e non più 27) ma ciò non sarebbe sufficiente. Si dovrebbe ricorrere alla chiamata diretta, inasprire i reati per la renitenza e per i medici conniventi, abbassare gli standard medici e, addirittura, ricorrere a gruppi finora esclusi, perché non i detenuti per reati lievi? D’altronde, il presidente lo ha detto: «Non c’è ancora un piano» e non abbiamo motivo di non credergli perché un’eventuale nuova mobilitazione rischia di far tremare il Paese. La guerra è allo stallo, ma il leader ucraino sa che questo è il momento di insistere se vuole che l’inverno non congeli ulteriormente gli entusiasmi dell’Occidente per il suo Paese.