Zambia, le voci dei bambini sono al «Riparo»
La storia Alla periferia di Lusaka, dove un tempo regnavano solo isolamento sociale e povertà sorge un centro di accoglienza per minori salvati dalla strada. Benvenuti a Mthunzi
La storia Alla periferia di Lusaka, dove un tempo regnavano solo isolamento sociale e povertà sorge un centro di accoglienza per minori salvati dalla strada. Benvenuti a Mthunzi
Mthunzi è voci di bambini che ridono, Mthunzi è un pick up stipato da venti persone, Mthunzi è partite di calcio la cui parola fine viene messa solo dal tramonto del sole.
MTHUNZI, «RIPARO» in lingua nyangja, è un centro di accoglienza per bambini di strada nato agli inizi del 2000 alla periferia di Lusaka all’interno di una zona semi-rurale dove si alternano villaggi contadini e quartieri popolari come Chikondano («luogo dell’amore reciproco»), un ex villaggio a luci rosse ora diventato uno slum, Kanyama (il più grande insediamento informale dello Zambia con 400 mila persone) e Lilanda (richiamata nelle cronache per presunte uccisioni rituali).
Qui la cooperazione italiana, attraverso l’associazione Amani, è stata protagonista di attività di accoglienza, educazione, arte di oltre 500 bambini. Ma l’intuizione iniziale è del missionario comboniano Renato “Kizito” Sesana, che negli anni ’80 aveva acquistato il terreno e una casa in quella che a quel tempo era foresta. L’obiettivo iniziale della comunità era quello di associare giovani e famiglie in un gruppo solidale, che potesse vivere del lavoro della terra e allo stesso tempo condividere la vita quotidiana, le risorse disponibili, riuscendo così a contrastare con maggiore efficacia le avversità di quel periodo.
TRA IL 1960 E 1980 infatti i cambiamenti politici ed economici in Zambia spingono grandi masse di persone a spostarsi dalle campagne alle città in cerca di lavoro. Questo processo mette in discussione le norme sociali e culturali tradizionali, indebolendo i legami propri del nucleo familiare allargato e spingendo fortemente verso l’occidentalizzazione e l’individualismo. Le periferie delle grandi città divengono quindi teatro di un’urbanizzazione incalzante e spesso disordinata, luogo di isolamento sociale e povertà, a fronte di uno sviluppo economico che arricchisce solo una fetta della popolazione mentre il restante lotta ogni giorno per la sopravvivenza.
I MEMBRI DELLA COMUNITÀ iniziano così a vivere insieme, a condividere i propri beni materiali, a coltivare la terra e sostenersi reciprocamente con l’idea di costruire una società migliore. La terra acquistata si trovava nel mezzo di una selva e apparteneva a una famiglia sudafricana la cui attività principale era l’allevamento e l’estrazione del veleno dai cobra.
«LA ZONA ERA PIENA DI SCIMMIE e la signora sparava ad ogni essere in movimento – ricorda il missionario -, loro erano venuti qui per protesta contro l’apartheid, non volevano essere parte di un paese fondato sulla discriminazione. Dopo la morte del marito e con l’età che avanzava la signora preferì andare in città vicino ai figli e ci diede il terreno a un prezzo di favore. I primi anni li passammo a sistemare il terreno e a costruire le case e imparare a vivere secondo quando indicato nel vangelo: “Tra loro tutto era in comune”. Purtroppo poi negli anni ’90 sono morti ben otto membri della comunità e abbiamo vissuto un periodo di grande difficoltà, inoltre con il crollo del prezzo del rame il paese stava affrontando una grave crisi economica, peggiorata dal diffondersi dell’aids. Tuttavia – prosegue padre Kizito -, a fine anni ’90 abbiamo iniziato a riprenderci e abbiamo deciso di impegnarci per quello che all’epoca ci sembrava il tema più importante di tutti: i bambini di strada».
NON APPENA IL GOVERNO ebbe notizia di quanto stava accadendo mandò in pochi giorni 60 bambini. Moses Chimwanga è uno di quei bambini: «Sono nato nella provincia del Copperbelt (la cintura del rame, ndr), ma non sono andato a scuola e a sette anni sono saltato su un treno per andare da mio zio a Lusaka, ma non è andata bene e in poco tempo sono finito in strada: annusavo jenkem, (un potente solvente, ndr), lavoravo solo per bere e respirare jenkem» finchè non ho scoperto Mthunzi.
Ora Moses è il manager responsabile dell’intera struttura: «Per noi sono centrali le relazioni, qui nessuno è solo, nessuno è costretto a parlare con la televisione, come i vostri anziani, o a prendere un cane di compagnia, abbiamo più problemi di tipo economico, ma se lavoriamo insieme possiamo farcela».
SONO LE 18.30 E IL SOLE DECLINA rapidamente nel pick up si riempie superando la soglia psicologica delle venti persone così alcuni tornano a piedi: lungo la strada polverosa si alza un forte vento, ma Peter sorride: «Se continua ad arrivarmi addosso questa sabbia divento mzungu (bianco) come te».
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