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Yemen, indagati due direttori di Uama

Yemen, indagati due direttori di UamaMacerie yemenite – LaPresse

Armi La Procura di Roma iscrive nel registro degli indagati per abuso d'ufficio due direttori dell'autorità del governo che autorizza la vendita di armi all'estero. Intanto in Yemen la tensione non cala: missili Houthi sull'Aramco a Gedda

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 5 marzo 2021

Dopo la decisione della gip Roberto Conforti, del 24 febbraio scorso, di non archiviare le indagini sull’azienda Rwm e l’Uama (l’Autorità nazionale per l’esportazione di armamenti) in merito alla strage dell’ottobre 2016 – una famiglia di sei persone uccisa nel villaggio di Deir Al-Hajari – commessa in Yemen dall’Arabia saudita, ieri la Procura di Roma ha iscritto nel registro degli indagati per abuso di ufficio di due direttori generali pro-tempore di Uama.

Il procedimento era stato avviato a seguito della denuncia presentata da tre associazioni, Ecchr, Rete italiana Pace e Disarmo e la yemenita Mwatana, che chiedevano di indagare dopo il ritrovamento di resti di bombe prodotte nella sede sarda della Rwm e la cui autorizzazione alla vendita era stata rilasciata dal governo italiano, in violazione della legge 185 del 1990 che vieta allo Stato italiano di esportare armi verso paesi in guerra o violatori dei diritti umani.

Non solo Uama, però: la gip ha chiesto di indagare anche gli amministratori delegati di Rwm, filiale italiana della tedesca Rheinmetall.

Intanto, i missili Quds-2, di fabbricazione iraniana, sono tornati a colpire gli interessi sauditi nel Golfo. E di nuovo per mano di Ansar Allah, il movimento politico degli Houthi yemeniti.

Ieri un missile ha centrato un impianto di distribuzione della compagnia petrolifera saudita Aramco a Gedda, sul Mar Rosso, fanno sapere i portavoce Houthi. Non commentano né le autorità saudite né l’Aramco. Se confermato, il missile avrebbe percorso 700 km prima di raggiungere la sua meta, ulteriore prova della capacità militari Houthi, attribuibile al sostegno militare (sempre negato) di Teheran.

E ulteriore prova anche dell’inconsistenza del processo di pace spinto dalle Nazioni unite ma che non è mai davvero partito: dopo gli incontri nel 2018 in Svezia tra Ansar Allah e il governo ufficiale basato tra Aden e Riyadh, ci sono stati scambi imponenti di prigionieri ma le tregue nelle zone più calde del fronte sono rimaste sulla carta: proseguono sia gli scontri sul terreno (in questo periodo soprattutto a Marib) sia i raid aerei sauditi. Che con Biden hanno dovuto fare a meno del sostegno militare e di intelligence americano.

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