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Yemen, dalla mozione restano fuori le armi leggere

Yemen, dalla mozione restano fuori le armi leggereMiliziani filosauditi nella città yemenita di Taiz – Afp

Italia/Golfo La denuncia di Opal: «Nel 2018 autorizzata per la prima volta dal 1990 la vendita di pistole e fucili a Riyadh». Una questione centrale: in Yemen i Saud armano milizie e gruppi paramilitari

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 27 giugno 2019

Una prima buona notizia a cui manca però qualche pezzo. La mozione di maggioranza approvata ieri dalla Camera dei Deputati impegna il governo italiano a sospendere l’esportazione di «bombe d’aereo e missili» all’Arabia saudita.

E se mancano – come sottolineava ieri in una nota Oxfam – gli altri «membri della coalizione sunnita» impegnata dal 2015 in una brutale offensiva militare contro lo Yemen, «ovvero Bahrein, Egitto, Kuwait e Sudan», manca anche una voce del business italiano verso la petromonarchia saudita: le armi leggere.

Secondo i dati del ComTrade, il database del commercio internazionale tenuto dalle Nazioni unite, nel corso del 2018 l’Italia ha inviato a Riyadh 1,3 milioni di dollari in armi leggere (pari a circa 1,170 milioni di euro) così divisi: 129.746 in pistole e revolver (categorizzati con il codice 9302) e 1.202.268 in fucili e carabine (codice 9303). Ordini, dunque, già evasi.

Il dato conferma il lungo lavoro di monitoraggio di Opal, Osservatorio permanente armi leggere, secondo cui nel 2018 – e per la prima volta dal 1990 – il governo Conte ha autorizzato la vendita di armi leggere ai Saud. Per un valore, a favore dell’azienda bresciana Beretta, di quasi tre milioni di euro comprensivi di fucili d’assalto, carabine, pistole semiautomatiche, silenziatori e binocoli.

«Nella relazione del Ministero degli Esteri relativa al 2018 – ci spiega Giorgio Beretta di Opal – si evince che l’Italia ha autorizzato la vendita di 13,3 milioni di euro in armi a Riyadh, di cui una parte catalogate come 001, ovvero armi leggere di piccolo calibro, fucili automatici e semiautomatici. Dai dati resi pubblici dal Tesoro sappiamo poi che l’azienda Beretta ha ottenuto un pagamento dal governo saudita per materiale esportato per oltre 2,8 milioni di euro».

Incrociando i dati governativi italiani con quelli forniti dall’Onu e dall’Istat, l’impressione (fondata) è che quei 2,8 milioni si riferiscano alla vendita di armi leggere a Riyadh, prodotti di cui la mozione di ieri non prevede la sospensione.

Queste autorizzazioni sono state rilasciate molto probabilmente (visto il codice di autorizzazione molto alto) nella seconda parte dell’anno scorso, e dunque dal governo 5S-Lega: «Menzionando, nella mozione approvata ieri, solo “bombe e missili”, cioè materiali militari prodotti dall’azienda tedesca Rwm Italia – conclude Beretta – il governo fa chiaramente capire che non intende mettere in discussione le forniture belliche di Finmeccanica-Leonardo e le esportazioni di armi della Beretta», conclude Beretta.

La questione non è di lana caprina. In Yemen l’Arabia saudita e i suoi più stretti alleati, a partire dagli Emirati arabi uniti, non si limitano a bombardare dal cielo, ma appoggiano, armano e finanziano le forze governative filo-saudite e gruppi paramilitari, come i secessionisti meridionali (accertati) e milizie vicine ad Al Qaeda. Responsabili, quanto le due capitali sunnite, del massacro di civili yemeniti.

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