Editoriale

Yan Lianke: «Ansia e rabbia da virus stanno sfumando»

Yan Lianke: «Ansia e rabbia  da virus stanno sfumando»Una delle strutture ospedaliere di Wuhan create per gestire la quarantena – Ap

Cina Intervista allo scrittore cinese in «isolamento»: «Ci stiamo abituando anche a questa vita»

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 28 febbraio 2020

Come sta vivendo queste settimane di isolamento a causa dell’epidemia in corso? So che è impegnato a scrivere un nuovo romanzo.
Io e la mia famiglia stiamo abbastanza bene. Siamo chiusi in casa da trenta giorni. In tutto questo tempo sono sceso al piano terra solo tre volte e non sono mai uscito dal complesso residenziale in cui viviamo. Eppure l’ansia e la rabbia stanno lentamente sfumando. Ci stiamo abituando anche a questo tipo di vita. Impotenti. Non possiamo fare altro. A poco a poco cerchiamo di riflettere razionalmente su questo disastro che ha colpito la Cina e l’umanità intera. Questa pausa forzata mi ha permesso di concentrarmi sul mio nuovo libro. Spero di trovare nella letteratura ausilio e sostegno.

Che cos’è per lei la scrittura? E cosa significa scrivere in Cina al giorno d’oggi?
La scrittura è un processo creativo, un viaggio senza meta né destinazione. Siamo noi, in quanto essere umani, a procedere verso un traguardo. Scrivere mi fa sentire vivo nella mia unicità. In altre parole, ho sempre usato la letteratura come un processo creativo volto alla ricerca del senso della vita.

Il modo in cui è stata inizialmente trattata la narrativa dell’epidemia richiama per certi aspetti il suo romanzo «Cronache dell’esplosione». Quanto ha contribuito secondo lei la mancanza di trasparenza iniziale alla diffusione dell’epidemia?
Il tema dell’epidemia è presente in molti miei romanzi. Penso a «Il tempo che fugge», a «Il sogno del villaggio dei Ding», ma anche a «Il giorno in cui morì il sole». Certamente il modo in cui è stata inizialmente trattata la narrativa dell’epidemia richiama per certi aspetti il mio romanzo «Cronache dell’esplosione». Lo scoppio dell’epidemia è da collegarsi alla censura verbale, alla cancellazione dei post online, alle crescenti restrizioni imposte ai mezzi di informazione e alla parola.

[do action=”citazione”]Se ci fosse stata più tolleranza e libertà di espressione, sicuramente l’entità dell’epidemia non sarebbe stata di queste proporzioni. Questo ci deve far riflettere. La tolleranza e la libertà di espressione sono una premessa fondamentale per il progresso e lo sviluppo della società.[/do]

Nelle ultime settimane non solo si è diffusa l’epidemia, ma anche una forte ondata di sinofobia a livello globale. Il virus non guarda in faccia a nessuno, il pregiudizio sì. Come la fa sentire tutto ciò?
Abito in pianta stabile a Pechino, quindi non ho avuto modo di toccare con mano quest’ondata di sinofobia. Da quello che leggo sui giornali, mi domando: se l’epidemia fosse iniziata altrove e arrivata in Cina solo in un secondo momento, come ci saremmo comportati noi cinesi? Meglio o peggio? Che reazione avremmo avuto? Sono molto commosso nel vedere l’aiuto che ci stanno dando molti Paesi; anziché pensare agli atteggiamenti sinofobi, dovremmo chiederci dove abbiamo sbagliato e perché siamo arrivati a questo punto.

Cosa pensa dell’ondata di panico mediatico che si sta diffondendo in Italia in questi giorni? Qual è il suo messaggio per la popolazione italiana?
Da un punto di vista statistico, il Covid-19 ha un alto tasso di guarigione e nel caso in cui vengano implementate misure ad hoc, quali ad esempio l’isolamento, l’epidemia può essere controllata e prevenuta. Certo, una reazione immediata di panico è ben comprensibile.

[do action=”citazione”]Tuttavia, se si vuole davvero controllare e prevenire l’epidemia è necessario seguire le direttive del personale medico, mantenere la calma e non farsi prendere dal panico, spontaneo o indotto che sia.[/do]

Alla popolazione italiana vorrei dire che in quanto cittadino cinese, sono mortificato e profondamente rattristato del fatto che l’epidemia si sia diffusa in tutto il mondo e soprattutto che abbia recato tanti danni e seminato il panico tra la gente.

Qualche mese fa in Italia è uscito il suo libro «Gli anni, i mesi, i giorni» (Nottetempo), a distanza di 23 anni dalla pubblicazione originale. Eppure sembra più che mai attuale, soprattutto nel rapporto tra uomo e natura. Qual è il ruolo della natura nella vita dell’uomo?
Ho scritto «Gli anni, i mesi, i giorni» nel 1996. Sono già trascorsi 24 anni. La natura è un tema fondamentale nei romanzi scritti in quel periodo. La natura appartiene all’uomo o è l’uomo ad essere parte integrante della natura? Questo è un quesito su cui ho riflettuto molto. Per rispondere alla domanda, non credo che la natura abbia o debba svolgere alcun ruolo nella vita dell’uomo. Dovremmo piuttosto riflettere su quale ruolo debba ricoprire l’uomo nei confronti del nostro pianeta. La storia degli esseri umani è così breve rispetto a quella della natura. Sono secoli che l’uomo usurpa l’ambiente, e adesso ne stiamo pagando le conseguenze a caro prezzo. Il filosofo cinese Laozi parla di «unione di Cielo e Uomo». Fin troppo attuale, direi. L’uomo è una parte costituente e integrante della natura.

Lei è originario della provincia dello Henan. Cosa rappresentano per lei i Monti Balou, catena immaginaria della sua provincia natale? E a cosa si è ispirato per il nome?
Balou in cinese è una specie di rastrello usato dai contadini per la semina. Quindi questo nome per me rappresenta la civiltà agricola, il mondo rurale. In realtà vicino al mio villaggio natale c’è anche un monte che si chiama proprio così, quindi oltre al significato apparentemente recondito, almeno per i lettori italiani, del termine balou, mi sono semplicemente ispirato alla realtà.

I protagonisti dei suoi racconti, alla mercé di destini avversi e di una natura inesorabile, sembrano ritrovare la speranza nelle cose più semplici e più umane. Qual è l’unica ancora di salvezza per l’uomo?

L’unica ancora di salvezza per l’uomo è quel fascio di luce che apre un varco nelle tenebre, quel lucore che squarcia l’oscurità e, volendo, potremmo senz’altro definirlo amore.

Il suo ultimo libro «Il sutra del cuore» è appena stato pubblicato dalla City University of Hong Kong Press. In cosa si differenzia dai suoi libri precedenti? Le sue storie sono sempre permeate da una dimensione mitica, fiabesca, a tratti religiosa, ma sempre radicate nella realtà. Che ruolo riveste la religione nella vita degli uomini?
«Il sutra del cuore» è il primo libro interamente incentrato sulla religione. È vero, le mie storie sono sempre permeate da una dimensione mitica, fiabesca, a tratti religiosa, ma nel caso de «Il sutra del cuore» la vera protagonista è la religione. Ci tengo a precisare che sono uno scrittore e non mi identifico con nessun credo religioso in modo particolare. La dimensione religiosa rappresenta per me una valvola di sfogo per lo spirito, poiché la realtà che ci circonda è intrisa di paradossi.

Qual è il suo libro che ha avuto più successo tra i lettori cinesi e quale tra i lettori occidentali? Come se lo spiega?
Ci tengo a precisare che non mi definirei un autore di successo. Per spiegarmi meglio: «Vivere» di Yu Hua credo abbia venduto circa dieci milioni di copie in Cina. Ecco, nel mio caso, invece, se riesco a pubblicare un mio romanzo, è già oro che cola. Se poi riesco a vendere centomila copie, mi posso dire soddisfatto. In Cina vendono molto i miei saggi e i libri di prosa in cui tratto vari argomenti. In Francia so che «Gli anni, i mesi, i giorni» e «Godersi la vita» vendono abbastanza bene. Nel mondo anglofono «Il sogno del villaggio dei Ding» e «Il giorno in cui morì il sole.» In linea generale, se i miei editori stranieri non ci rimettono i soldi, per me è già una bella soddisfazione. Anche perché fondamentalmente io scrivo per me stesso.

Nel suo libro «Pensando a mio padre» scrive che prova un autentico senso di gratitudine nei confronti di Zhang Kangkang, il cui libro «La linea di demarcazione» ha segnato tutta la sua vita. Perché?
Perché è il libro che mi ha fatto capire che potevo andarmene da una realtà rurale e farmi una vita. Mi ha aperto gli occhi e mi ha fatto diventare chi sono oggi.

Per concludere ci può svelare qualcosa sul nuovo libro che sta scrivendo adesso?
Si tratta di un racconto di tutte le donne della mia famiglia. Per i lettori italiani è sicuramente uno spaccato interessante di vita cinese, nonché una finestra sui costumi delle donne e i cambiamenti sociali nella campagna cinese nel corso degli ultimi cento anni.

Irriverente e censurato in patria

Yan Lianke è uno scrittore cinese di fama internazionale. Nato nel 1958, è uno degli scrittori più prolifici, discussi e impegnati nel panorama letterario cinese. Spesso viene definito, e a tratti acclamato, come lo scrittore più irriverente e censurato in patria. Ha vinto prestigiosi premi letterari in Cina e all’estero tra cui ricordiamo il premio Lu Xun, il premio Lao She, il Best Ten Books Award di Asia Weekly, il Dream of the Red Chamber Award, il premio Franz Kafka e il premio Huazong. È con il romanzo «Godersi la vita» (Shou huo, 2004), non ancora tradotto in Italia, che viene consacrato come scrittore di fama internazionale.
Il testo, pubblicato all’estero con il titolo di «Lenin’s Kisses», ha avuto un enorme successo. Le Monde lo definisce uno dei giganti della letteratura e The Guardian un maestro del sarcasmo. In Italia sono stati pubblicati «Servire il popolo», «Il sogno del villaggio dei Ding», «Pensando a mio padre», «Il podestà Liu e altri racconti», «I quattro libri» e «Gli anni, i mesi, i giorni»

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