Prima Vladimir Putin, poi Joe Biden. Mentre la Cina completa la sua prima «settimana dorata» post Covid, quella che inizia ogni anno con la festa della Repubblica popolare del 1° ottobre, Xi Jinping aggiorna l’agenda. Tra una decina di giorni, riceve il presidente russo in occasione del terzo forum sulla Nuova Via della Seta di Pechino. E a metà novembre pare intenzionato a volare a San Francisco per il summit dell’Apec (Cooperazione economica Asia-Pacifico) per un attesissimo bilaterale con il presidente degli Stati uniti. Da mesi le diplomazie delle due potenze lavorano all’incontro.

IN ESTATE, ben quattro componenti dell’amministrazione Biden si sono presentati in Cina per provare a stabilizzare i legami. Stando al Washington Post, la Casa bianca è già al lavoro sui preparativi dell’accoglienza del presidente cinese. Non ci sono ancora annunci, ma la conferma potrebbe arrivare dal probabile viaggio negli Usa di Wang Yi, ministro degli Esteri e capo della diplomazia del Partito comunista.

In questi giorni, i media di stato cinesi hanno tenuto una linea meno pessimista del solito. «Le frequenti interazioni ad alto livello infondono positività», ha scritto il Global Times, aggiungendo però che Washington deve «impegnarsi di più per mostrare sincerità nella stabilizzazione delle relazioni». Un segnale arriva dall’imminente viaggio a Pechino di una delegazione bipartisan del Senato statunitense, la prima dal 2019. Alla guida Chuck Schumer, il leader della maggioranza democratica. Non certo una colomba: a Pechino è ritenuto uno dei falchi «colpevoli» dell’inasprimento della contesa tecnologica.

In realtà, è difficile attendersi passi avanti significativi sui dossier più spinosi. Anzi, sono in arrivo nuove turbolenze sui semiconduttori. A Washington è in fase di revisione finale l’aggiornamento delle restrizioni all’export di apparecchiature utili alla produzione di chip e allo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Nelle scorse settimane, Pechino ha provato a convincere Washington a un ammorbidimento. Prima comunicando, attraverso il nuovo Huawei Mate 60 Pro che contiene il chip più avanzato mai prodotto in Cina, che le restrizioni non servono. Poi iniziando a concedere licenze per l’export di gallio e germanio, metalli chiave per il settore, bloccati ad agosto. Non è bastato. Le divergenze restano pressoché incolmabili anche su Taiwan e mar Cinese meridionale. Ieri si è rischiato di nuovo un incidente tra navi cinesi e filippine vicino a un atollo conteso.

EPPURE, la sensazione è che anche da parte cinese ci sia la volontà di replicare il colloquio del 2022 a Bali. La fiducia negli Usa resta bassa, tra dubbi sulla tenuta di Biden e l’approssimarsi della lunga campagna elettorale che prevedibilmente inasprirà i toni. Ma a spingere Xi verso San Francisco c’è un calcolo politico. Disertato il summit del G20, mancare un nuovo appuntamento multilaterale alimenterebbe le voci di problemi interni, tra la rimozione del ministro degli esteri Qin Gang e la «sparizione» di quello della Difesa Li Shangfu. Sul piano esterno, Xi vuole provare a proiettare un’immagine da grande stabilizzatore. Pechino ha appena pubblicato un documento che sistematizza la teoria della «comunità mondiale dal destino condiviso», punto importante della retorica con cui si propone come leader del cosiddetto Sud globale.
All’incontro tra Kim Jong-un e Putin in Russia, Xi ha risposto riavviando il dialogo trilaterale con Giappone e Corea del Sud. Dopo il suo prossimo incontro diretto con il leader russo, può essere congeniale vedere anche Biden.