Wisława Szymborska, fatui accoppiamenti di realtà inconciliabili, su precari cartoncini
La mostra Non solo autrice di versi, la poetessa polacca improvvisava, nei suoi viaggi, divertissement letterari, e agli amici più dotati di ironia mandava «ritaglini» irriverenti, in forma di collage: a Genova, «Wislawa Szymborska. La gioia di scrivere», a cura di Sergio Maifredi, al Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce fino al 3 settembre
La mostra Non solo autrice di versi, la poetessa polacca improvvisava, nei suoi viaggi, divertissement letterari, e agli amici più dotati di ironia mandava «ritaglini» irriverenti, in forma di collage: a Genova, «Wislawa Szymborska. La gioia di scrivere», a cura di Sergio Maifredi, al Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce fino al 3 settembre
A dispetto della loro più che ventennale relazione, Wisława Szymborska non volle mai andare a convivere con il suo compagno, lo scrittore Kornel Filipowicz, sostenendo che il ticchettio simultaneo di due macchine da scrivere in due stanze diverse del medesimo appartamento avrebbe creato un effetto ridicolo, oltre che insopportabile. Nulla valse a farle cambiare idea, nemmeno la consapevolezza che quell’odioso, nevrotico baccano sarebbe stato ogni tanto attenuato dal serico fruscio di un paio di forbici: dotata di un estro artistico non comune, la poetessa polacca era infatti una infaticabile creatrice di collage, ironici e talvolta spiazzanti, realizzati ad personam per i suoi amici.
Apparentemente ideate per sopperire alla penuria, negli anni Sessanta, di cartoline postali accettabili sotto il profilo estetico, quelle composizioni irriverenti costituivano in realtà un vero e proprio termometro delle simpatie personali dell’autrice: l’invio per posta dei collage era riservato esclusivamente ai conoscenti provvisti di senso dell’umorismo in grado di apprezzarne la stralunata logica; agli altri toccavano invece semplici biglietti prestampati. Tuttavia, i fortunati eletti non dovevano essere pochi, a giudicare da quanto scrive il segretario ingaggiato all’indomani del premio Nobel, Michał Ruszynek, che nel volume di memorie Nulla di ordinario, pubblicato da Adelphi nel 2019, ricorda come a novembre, nell’imminenza delle feste di fine anno, Szymborska si rifiutasse categoricamente di ricevere ospiti, perché doveva (così dichiarava) «fare l’artista». D’altronde, ammettere visitatori nel suo appartamento non sarebbe stato semplice: l’intero pavimento era ingombro di ritagli di vecchi giornali e riviste; Szymborska «ci passava sopra come una cicogna, li accoppiava, scoppiava a ridere e li incollava sui cartoncini».
A illuminare questo aspetto poco noto della creatività della poetessa, nata a Kòrnik nel 1923 e scomparsa a Cracovia nel 2012, provvede ora la mostra Wislawa Szymborska La gioia di scrivere (a cura di Sergio Maifredi e con la consulenza di Andrea Ceccherelli e Luigi Marinelli) visibile al Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce a Genova fino al 3 settembre. Un progetto ambizioso che, alternando tracce visive e memorabilia, archivalia a testimonianze inedite, si propone di esplorare le frange più collaterali dell’opera di Szymborska, ormai divulgata e tradotta pressoché nella sua interezza.
In questa ottica, particolarmente rilevanti appaiono i suoi divertissement letterari, ovvero anzitutto limericks improvvisati in viaggio (sull’esempio dell’amico di gioventù, il poeta Maciej Slomczynski) e, per l’appunto, i wyklejanki o «ritaglini» – così aveva soprannominato Szymborska i suoi collage. Sono inopinate, fatue estensioni della sua produzione poetica «seria», quegli episodici sconfinamenti nel regno del nonsense, dove la lingua prende imperiosamente il comando e «le rime trascinano l’autore verso l’abisso» (come ammetteva Szymborska con la consueta ironia).
Basati per lo più sulla giustapposizione di un’immagine spesso leziosa e démodée attinta alla collezione di cartoline d’anteguerra della poetessa e di una didascalia fulminante, i collage esposti in mostra (ben 85, ora sparpagliati per le varie sale, ora occasionalmente riprodotti in gigantografie) sembrano dunque ricreare l’incontro casuale «di una macchina per cucire e di un ombrello su un tavolo operatorio» tanto caro a Comte de Lautréamont e, in genere, alla poetica surrealista. Al contempo però il carattere «individuale» dei «ritaglini» suggerisce che questi momentanei accoppiamenti di realtà inconciliabili sulla superficie precaria del cartoncino nascondano allusioni comprensibili soltanto ai destinatari che, magari, riconoscevano nei collage ricevuti per posta una qualche incauta osservazione sfuggita loro in presenza della poetessa. Così queste composizioni appese in cornici invariabilmente identiche, quasi a mimare la loro appartenenza a una collezione ideale, possono essere anche lette come frammenti di dialoghi interrotti o schermaglie a distanza tra Szymborska e i protagonisti della vita intellettuale polacca – tra i corrispondenti più bersagliati da «ritaglini» figurano il critico Edward Balcerzan e il poeta Jarek Mikołajewski; e c’è, inoltre, un omaggio verbovisivo trasmesso dalla poetessa all’amato Woody Allen.
Altrove, il collage, mischiando alto e basso, sublime e dozzinale, condensa una immagine straniante, che verrà poi ripresa in un componimento poetico. È il caso del brutale gorilla che afferma «la scimmia è una canna pensante», in cui i curatori dell’esposizione hanno individuato un legame con la chiusa della poesia Disattenzione: «Il savoir-vivre cosmico, / benché taccia sul nostro conto, / tuttavia esige qualcosa da noi: / un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal / e una partecipazione stupita a questo gioco / con regole ignote».
La esposizione genovese procede infatti su due binari paralleli: da un lato cerca di dimostrare come questi divertissement apparentemente frivoli non siano in contraddizione con l’opera maggiore della poetessa; d’altra parte utilizza proprio questa ripetuta immersione della Szymborska «artista» nell’immaginario kitsch di rotocalchi e cartoline per spiegare (e assecondare) l’appropriazione che della sua figura, ancor prima che dei suoi testi, è stata fatta da varie voci dei media italiani. Un esito davvero imprevisto, considerando la propensione quasi speculativa di molte poesie di Szymborska, nonché la sua leggendaria ritrosia.
Fa parte dell’allestimento un florilegio di citazioni, riprodotto a parete, da Jovanotti, Roberto Vecchioni e Roberto Saviano, che hanno usato versi della poetessa cracoviana, ora trasformata in (improbabile) icona pop; d’altra parte, però, altre sale sembrano rivolgersi a un visitatore animato da robusti appetiti filologici, capace di apprezzare le varianti testuali di alcune celebri poesie, nonché di godere della lettura di alcuni inediti degli anni Sessanta (non proprio travolgenti, a dir la verità), emersi di recente dalle carte dell’ex marito di Szymborska Adam Wlodek.
Altrettanto raffinata è la ricostruzione degli «esordi» dell’autrice in Italia, prima all’interno dell’antologia di poesia polacca curata da Carlo Verdiani nel 1961 per l’editore Silva e poi, grazie a Vanni Scheiwiller, con la plaquette La fiera dei miracoli, uscita nel 1993 e accompagnata da delicati disegni a matita di Alina Kalczyńska, autrice anche di vari libri d’artista.
Di tutti gli elementi in mostra – dalla veste dattiloscritta degli inediti a quella tipografica dei volumi a stampa – a prevalere visivamente è senz’altro la grafica imprevedibile, coloratissima e strampalata dei collage, con sorridenti donnine che scavalcano d’un balzo la torre di Pisa, la medesima torre trapiantata nel deserto, oppure i monoliti di Stonehenge tramutati in puzzle e accompagnati dall’imperativo: «Componili da te». D’altronde, a detta di Ruszynek, l’appartamento stesso di Szymborska a Cracovia sembrava progettato secondo i princìpi contrastivi che regolavano i suoi «ritaglini»: l’eleganza dei mobili era bruscamente contrastata da oggetti come un maialino rosa con la coda a manovella, e di fronte al quadro monumentale di Maria Jarema, pittrice di culto dell’avanguardia cracoviana, nonché prima moglie di Kornel Filipowicz, era appesa «una forchetta con i denti fantasiosamente intrecciati, trovata in un mercato delle pulci a Breslavia». Assai azzeccata appare dunque la scelta dei curatori di piazzare all’ingresso della mostra una macchina per scrivere Predom degli anni Ottanta – proprio quell’oggetto insieme amato e odiato che i collage dovevano momentaneamente zittire.
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