La protesta a Trieste, Genova, Taranto e Napoli. Centinaia di berretti in un flash mob in Piazza della Borsa a Trieste. 450 le vite stravolte dalla chiusura dello stabilimento di Bagnoli della Rosandra e dalla delocalizzazione in Finlandia della produzione dei motori navali Wärtsilä. Un migliaio gli esuberi. Grande partecipazione dei cittadini. Tra gli altri in piazza l’assessore regionale al lavoro Alessia Rosolen e il sindaco di Trieste Roberto Di Piazza.

«La realtà di Wartsila è unica in Friuli Venezia Giulia, ci sono tante piccole aziende che non possono riassorbire le competenze iperspecializzate. L’unica speranza ora è nella mediazione delle istituzioni». Prossimo appuntamento in piazza a inizio settembre.

La «cessazione immediata della procedura che lascia ancora circa 60 giorni all’azienda per presentare un piano di mitigazione». Lo chiedono insieme i sindacati Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm Uil riferendosi alla decisione della Wartsila di smantellare la parte produttiva dello stabilimento triestino. «Ci sono le condizioni per continuare la produzione a Trieste ma ci vuole più tempo, abbiamo chiesto al Mise la settimana scorsa con il ministro Giancarlo Giorgetti e il presidente della Regione Massimiliano Fedriga di interrompere immediatamente la procedura», ha affermato dal palco Massimiliano Nobis, segretario nazionale di Fim Cisl, il quale sostiene che «con investimenti minori di quelli richiesti al Pnrr si potrebbe salvaguardare la produzione dei grandi motori, in accordo con la transizione ecologica, puntando su ricerca e idrogeno».

Per il segretario nazionale Fiom Cgil, Luca Trevisan, però, si tratta dell’avvio «di un processo che mette in discussione tutti i posti di lavoro di Wartsila a Trieste». Dunque, «difendere oggi lavoro e produzioni significa difendere la capacità di produrre ricchezza e difenderci dalle scorribande delle multinazionali. Bene che il governo si sia schierato a fianco dei sindacati, ma ora si deve passare dalle parole ai fatti».

La rilevanza nazionale dell’annuncio di Wartsila è stata poi rimarcata anche dal segretario nazionale Uilm, Michele Paliani: «Hanno sbeffeggiato il governo italiano, questa deve diventare una vertenza nazionale. La nostra battaglia non si deve fermare qui. Con questo numero di persone dovremo andare a Roma».

Sono 73 i tavoli di crisi aperti al Ministero dello Sviluppo Economico (Mise), 95.000 i lavoratori coinvolti. Dalla siderurgia all’automotive alle telecomunicazioni con vertenze ormai storiche come quelle della Whirlpool o della Blutec.

Queste sono le vertenze che il governo Draghi dimissionario lascerà al successivo dopo il voto del 25 settembre e in piena crisi. In alcuni casi, come quello della ex Gkn di Campi Bisenzio (Firenze), si cerca ancora una soluzione, ma i nuovi investitori interessati alla reindustrializzazione non si sono presentati al tavolo al Mise.

La prossima riunione del tavolo, fissata per il 31 agosto, «rappresenta l’ultima chiamata» per la reindustrializzazione della ex-Gkn dicono i lavoratori della Rsu della fabbrica fiorentina.

«Siamo all’ultimo giro, dopo il quale l’assemblea permanente dovrà decidere se e come tornare a mobilitare l’intero territorio. Il collettivo di fabbrica e questo territorio non sono nè raggirabili, né ricattabili». Secondo la Rsu «il tavolo istituzionale è ormai a un’impasse» e «lo è interamente per responsabilità aziendale», perché «invece di addivenire a una discussione seria – si legge nella nota – e fornire tutti gli elementi di trasparenza e chiarezza, Borgomeo prova a scaricare su lavoratori e istituzioni le proprie responsabilità, dichiarando che le difficoltà a ottenere la cassa integrazione e la presunta inagibilità dello stabilimento sarebbero motivi bloccanti. Di fatto siamo al tentativo di ottenere cassa integrazione e smantellamento dello stabilimento sotto pressione emotiva e ricatto».