Faceva quasi tenerezza il tweet con cui la premier italiana Giorgia Meloni prendeva atlanticamente posizione parecchie ore dopo l’invasione golpista di Brasilia. Senza esprimere solidarietà diretta a Lula, ma limitandosi a un generico, educatissimo riferimento alla difesa delle istituzioni democratiche che lo stesso Bolsonaro non avrebbe avuto difficoltà a sottoscrivere. All’agenda Draghi si aderisce anche così, con il minimo sforzo, senza rinnegare nulla o quasi. E senza scaricare, nel momento di suo massimo bisogno, il lider maximo della trinità Dio-patria-e-famiglia, della parola nazione elevata a tic nervoso, del liberismo a mano armata che fino a ieri istruiva tanto quanto Trump, Putin e Tolkien i sogni di potere oggi realizzati della destra italiana.

Avrà giusto provato un po’ di invidia, Meloni, per la gioiosa sfrontatezza non governativa con cui il partito “sorello” spagnolo Vox ha potuto liquidare la questione, condannando piuttosto i due pesi e due misure della sinistra che non ha espresso analogo sdegno per le proteste del 2018 in Cile e del 2021 in Colombia, due situazioni che con le pulsioni golpiste e gli assalti alle istituzioni non c’entrano ovviamente nulla. I revisionismi storici, siano essi sul breve o sul lungo termine, si impastano alla fabbrica delle fake news che è un altro dei tratti distitivi del bolsonarismo e delle “bestie” social dei sovranisti europei.

È la specialità della casa comune di tutte le destre, di cui Palazzo Chigi è oggi il salotto buono.