Europa

Von der Leyen lancia il «Patto Verde» Ma la sostanza non c’è

Von der Leyen lancia il «Patto Verde»  Ma la sostanza non c’è

Miraggio verde Le ambizioni della Commissaria europea per fronteggiare la crisi climatica si scontrano con l’assenza di finanziamenti. Chi paga?

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 12 dicembre 2019

Green Deal, il Patto Verde, è il nostro «uomo sulla luna». La Ue vuole rinascere, dimenticando le crisi, proponendo una «nuova strategia di crescita», basata sull’impegno per la neutralità climatica nel 2050, con una tappa significativa nel 2030. Ieri, a dieci giorni dal suo insediamento difficoltoso, la neo-presidente della Commissione, la tedesca Ursula von der Leyen, ha annunciato le ambizioni, il metodo e le grandi linee del programma di lavoro per i prossimi 5 anni in materia di transizione verso un nuovo mondo di neutralità climatica (non solo neutralità carbone).

TUTTE LE POLITICHE della Ue dovranno essere ormai valutate con il prisma del Green Deal. A termine, entro 5 anni, il 25% del budget europeo dovrà andare al Patto Verde. Il discorso è pieno di buona volontà e di ottimi propositi, ma manca di sostanza sui finanziamenti: Frans Timmermans, il vice-presidente incaricato del Green Deal, sostiene che ci vorranno investimenti di «260-300 miliardi l’anno per arrivare alla neutralità climatica nel 2050», e che questi soldi verranno dal pubblico, ma soprattutto dal settore privato. La Commissione si basa sul calcolo del «moltiplicatore», per ogni euro speso dal pubblico ce ne saranno 4,5. Intanto c’è la promessa di 100 miliardi entro il 2027, tra il Fondo per una giusta transizione (6,5-8 miliardi), prestiti della Bei, interventi di InvestEu (l’agenzia che succede al Piano Juncker) e una parte dei fondi di coesione.

LA PROSPETTIVA SAREBBE di mettere in gioco mille miliardi in dieci anni, ma, a differenza del salvataggio delle banche in seguito alla crisi del 2008, questi soldi sono tutti da trovare, denuncia la sinistra della Gue. S&D incita: passare dalle parole ai fatti. È un catalogo di buone intenzione, che per il momento fa i conti senza l’oste, perché al Consiglio europeo che si apre oggi a Bruxelles sul tavolo dei 27 (Boris Johnson è assente) c’è la difficile discussione sul bilancio pluriannuale (2021-27) della Ue, dove è facile prevedere che voleranno gli stracci, tra una proposta minima della Finlandia (Paese che ha fino a fine anno la presidenza del Consiglio a rotazione), un progetto prudente della Commissione e le perplessità di molti Paesi «contribuenti netti». Von der Leyen non vuole «lasciare nessuno indietro», né gli Stati ancora troppo dipendenti dalle energie fossili o che hanno un’edilizia di un’altra epoca (Ungheria, Polonia, Repubblica ceca a giugno si erano opposti al Green Deal) né i cittadini (ma l’episodio della rivolta dei gilet gialli contro l’aumento del gasolio è ben presente). La Germania chiude la borsa ai finanziamenti mirati (edilizia, energia, industria, mobilità per favorire treni e auto elettriche) e vorrebbe trovare i soldi dai fondi di coesione, cosa che rifiutano i beneficiari, in primo luogo, Polonia e Ungheria.

LE TAPPE EVOCATE sono una legge per la Neutralità climatica europea nel 2050, che sarà presentata nel marzo 2020. Ma questo testo difficilmente potrà contenere degli impegni precisi per la tappa più vicina del 2030: la Commissione e un gruppo di stati membri (Francia, Svezia, Olanda, Portogallo, Danimarca, Finlandia, Belgio) vorrebbero alzare l’attuale obiettivo di riduzione del 40% delle emissioni di Co2 al 50-55%. La Germania resta molto prudente.

NEL MARZO 2021 si ridiscute il Pacchetto energia: si dovrà ridefinire la fiscalità sull’energia, una direttiva che ha 16 anni di vita. L’ipotesi di tassare il kerosene degli aerei ha già fatto alzare un muro di oppositori, mentre la Commissione vorrebbe aggiungervi una tassazione del trasporto marittimo. Un altro impegno è quello di adattare la Pac (politica agricola comune, per decenni prima spesa del budget europeo) alla lotta al riscaldamento climatico, destinando a questo scopo il 30% dei finanziamenti. L’idea che Ursula von der Leyen vorrebbe far passare è che tutte le azioni della Ue, interne e internazionali, vengano passate al vaglio del rispetto dell’Accordo di Parigi: c’è anche la proposta di un meccanismo di tassazione alle frontiere, per prodotti che provengono da paesi che non rispettano questi standard (ma la cosa è molto complicata, per non cadere nell’accusa di protezionismo). Nel meccanismo della transizione giusta potrebbe inserirsi una bomba: una riforma del Patto di stabilità, per togliere dal calcolo del debito pubblico gli investimenti per la transizione climatica. La Germania ha già detto nein.

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