L’alluvione, gli allarmi, le autonomie
Un brutto clima Svanita in breve l’emozione per i tragici effetti dell’alluvione in Spagna, arriva una notizia ignorata praticamente da tutti i media italiani. Salomé Pradas, assessora alle emergenze della Regione Valenciana, ha […]
Svanita in breve l’emozione per i tragici effetti dell’alluvione in Spagna, arriva una notizia ignorata praticamente da tutti i media italiani. Salomé Pradas, assessora alle emergenze della Regione Valenciana, ha dichiarato che nessuno l’aveva informata dell’esistenza del sistema di allerta ES-alert che invia un messaggio di allarme sui cellulari anche in assenza di connessione dati. Solo la sera del 29 ottobre, dopo una giornata intera di precipitazioni e allagamenti, un tecnico dell’assessorato comunicò l’opportunità alla Pradas, e l’avviso ai cittadini di rimanere al sicuro venne diramato alle 20:12.
Es-alert è una declinazione spagnola del più ampio programma di protezione civile dell’Unione europea che comprende il nostro IT-alert, attualmente in fase sperimentazione. È ovvio che questi sistemi non siano “la” soluzione e che debbano integrare un piano complessivo di allarme e azione.
La dichiarazione di ignoranza dell’assessora ha rinfocolato le polemiche sulla gestione dell’emergenza: minimizzazione iniziale, soccorsi inadeguati, intempestività della comunicazione. Sotto accusa i rapporti tra le autorità nazionali e regionali e sulla catena di comando. E qui la cosa ci riguarda da vicino.
Si è svolta lunedì una riunione fra il ministro Calderoli e i presidenti di Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria per avviare i negoziati sull’autonomia differenziata. Si è deciso di iniziare dalla Protezione Civile, materia “non-Lep”: una di quelle che secondo la legge 86/2024 non ledono l’eguaglianza dei diritti civili e sociali.
Anche se è difficile immaginare la gestione delle emergenze come separata dalla salvaguardia del territorio o dal diritto alla salute (“materie Lep”), non pare ci siano state particolari reazioni per questo primo atto ufficiale delle procedure attivate dalla L.86. Forse per la fiduciosa attesa nei pronunciamenti della Consulta.
La Protezione Civile italiana è generalmente ben considerata a livello internazionale. Paradossalmente è il risultato della nostra vulnerabilità: terremoti, inondazioni, frane, disastri ambientali, eruzioni costituiscono un ventaglio di “crash-test” che ci hanno permesso di affinare molto più di altri Paesi capacità di risposta ed efficacia nella gestione di emergenze complesse.
Forse è il caso di smettere di attardarci sul contrasto ai negazionisti climatici (ma quanti sono?) e considerare con grande attenzione sia le vicende spagnole (almeno quanto la vicinanza geografica rende probabile una replica della catastrofe anche dalle nostre parti) che lo sciagurato percorso della legge 86: non solo anche la gestione delle emergenze dovrà sottostare alla capacità di spesa delle singole regioni, ma non si capisce come sia possibile contenere in arbitrari confini amministrativi le problematiche di un territorio così interconnesso come quello italiano.
Perciò – soprattutto in faccende che riguardano la vita delle persone – urge attivare trasparenza e controllo democratico circa la rispondenza della catena di comando e di tutto il sistema all’efficacia delle azioni. Al momento noi cittadini ignoriamo di tali questioni praticamente tutto.
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