La strategia europea di distribuire miliardi di euro in cambio di ostacoli e blocchi ai movimenti di persone si estende dal Nord Africa al Medio Oriente. Ieri la presidente della Comissione Ue Ursula von der Leyen, già impegnata a sostenere la premier italiana Giorgia Meloni negli accordi con il regime tunisino di Kais Saied e in quelli analoghi con l’Egitto di Al Sisi, è volata a Beirut per staccare un assegno da mille milioni. La cifra sarà spalmata sul triennio 2024-27 e servirà in buona parte ad affrontare la questione migranti nel paese dei cedri, che ospita oltre un milione di siriani e quasi 500mila palestinesi.

La strategia è sempre la stessa: noi vi paghiamo, voi vi tenete i migranti. Così dopo Tunisia ed Egitto, e ancora prima Turchia e Libia, Bruxelles prova ora a tamponare il confine mediorientale. Solo 160 chilometri di mare separano il Libano da Cipro, ovvero dalla Ue. Gli sbarchi sull’isola sono in aumento: 78 nel primo trimestre 2023, più di 2mila al 4 aprile 2024. Anche se la maggior parte degli ingressi di migranti, va ricordato, avvengono dal confine con il nord controllato dai turchi e raggiungibile da molti paesi senza visto.

In ogni caso Nicosia ha deciso di sospendere l’esame delle domande d’asilo dei migranti siriani. Secondo il presidente cipriota Nikos Christodoulides, che scortava Von der Leyen nel viaggio a Beirut, la situazione sarebbe «insostenibile non solo per Cipro, ma anche per il Libano e per l’Ue». Alla base dei timori c’è la situazione esplosiva nel paese dei cedri, stretto tra una forte crisi economica e una presenza di rifugiati in rapporto alla popolazione particolarmente elevata. A ciò si sono aggiunte di recente le fibrillazioni alla frontiera meridionale del paese. Due istituti di ricerca libanesi hanno stimato che, oltre a 438 morti e 275 feriti, dal 7 ottobre gli scontri tra Hezbollah ed esercito israeliano hanno provocato 90mila sfollati.

Anche da questa sponda del mare, comunque, tutti gli occhi sono puntati sui siriani. La paura e le tensioni sono state alimentate da alcuni recenti episodi di cronaca. «Non possiamo diventare una patria alternativa per gli sfollati dalla Siria», ha sottolineato ieri il premier libanese Najib Miqati, che ha anche invitato l’Ue a incoraggiare i rifugiati a tornare nel proprio paese d’origine. Secondo l’esponente politico sarebbe «sicuro per buona parte del territorio», nonostante la guerra scoppiata nel 2011 non sia mai davvero finita.

Spaventare l’Europa agitando lo spauracchio dei migranti non è difficile e Miqati sapeva di poter premere su questo tasto per imporre le proprie condizioni. Il suo invito infatti è stato racconto dalla presidente della Commissione, che ha illustrato una strategia Ue articolata su due fronti. Da un lato ha annunciato «percorsi legali verso l’Europa, compreso il reinsediamento dei rifugiati provenienti dal Libano nell’Ue». Parole analoghe a quelle spese in altri paesi nella promessa mai mantenuta di bilanciare a livello umanitario il sostegno a politiche securitarie che provocano gravissime violazioni dei diritti dei migranti. Dall’altro lato, ha detto Von der Leyen, «contiamo sulla vostra buona collaborazione per prevenire l’immigrazione clandestina e combattere il traffico di migranti». Tradotto: l’Ue subappalterà anche sul fronte medio orientale respingimenti e rimpatri che non potrebbe realizzare direttamente senza violare il diritto comunitario e internazionale.

Nell’intenzione di Bruxelles, il pacchetto da un miliardo – che porta a quasi 3 miliardi totali i fondi destinati all’assistenza dei siriani in Libano a partire dal 2011 – servirà a «sostenere riforme per migliorare la situazione socioeconomica» di un paese che attraversa una crisi esplosa nel 2019 ma con radici profonde. In realtà i soldi saranno utilizzati soprattutto per supportare le forze armate di Beirut attraverso «attrezzature e formazione per la gestione delle frontiere». In questo senso si auspica anche un accordo con Frontex.