Benvenute in Polonia. Ong, amministrazioni locali e comuni cittadini continuano a formare gli ingranaggi di una straordinaria macchina della solidarietà che ha permesso di gestire l’arrivo o, in alcuni casi, il transito, di almeno 2.8 milioni di ucraini dall’inizio dell’invasione russa.

Ma per le profughe che si trovano a gestire una gravidanza indesiderata, il Paese sulla Vistola non è affatto la terra promessa, anzi. E dal mese scorso che i volontari dalla fondazione antiabortista «Vita e Famiglia» provano a fare proseliti tra le profughe al loro ingresso in Polonia.

In alcuni casi, i volantini «informativi» bilingue, polacco e ucraino, preparati dall’organizzazione pro-life di Kaja Godek, con tanto di citazione di Madre Teresa di Calcutta e l’immagine di un feto smembrato, sono una della prime cose a finire tra le mani delle donne al principio della loro avventura oltreconfine.

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«La più grande minaccia alla pace è l’aborto. Se alla madre è concesso di uccidere i propri figli, che cosa ci impedisce di farlo a vicenda», si legge nei manifestini che informano delle conseguenze penali delle interruzioni volontarie di gravidanza, quasi del tutto illegali in Polonia, dopo la sentenza choc del filo-governativo Tribunale costituzionale, che aveva dichiarato fuorilegge l’aborto terapeutico nell’ottobre 2020.

Eppure, la legge in Polonia consente ancora di intervenire in due casi: quando la gravidanza mette a repentaglio la salute della madre, e in caso di stupro. Ma nei materiali distribuiti da «Vita e Famiglia», che da anni spinge per una messa al bando totale dell’aborto, non c’è spazio per questo tipo di informazioni. Mentre continuano a moltiplicarsi le testimonianze di ucraine vittime di violenza sessuale da parte di soldati russi, ha fatto scalpore la settimana scorsa la notizia delle donne stuprate a Bucha e spaventate dall’idea di trasferirsi in uno stato in cui l’aborto è praticamente quasi ineseguibile.

Anita Kucharska-Dziedzic (Nuova Sinistra)
L’ok per eseguire l’aborto sulle vittime di stupro può arrivare soltanto da un procuratore, che spesso trascina la cosa troppo a lungo

Un trauma che si aggiunge a quello della guerra per molte ucraine che provengono invece da un paese in cui è sempre possibile interrompere una gravidanza fino alla dodicesima settimana di gestazione e grazie a contributi pubblici. Addirittura, prima della guerra scatenata dal Cremlino, l’Ucraina, grazie alla sua legislazione liberale in materia, era una delle destinazioni scelte di preferenza dalle polacche per abortire all’estero.

Le normative che disciplinano l’aborto in Polonia non offrono alcuna precisazione in merito al fatto che il reato di violenza sessuale debba aver avuto luogo sul territorio nazionale per autorizzare l’aborto. A partire dalla firma dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale nel 1998, gli episodi di violenza sessuale in un contesto bellico vengono riconosciuti come crimini internazionali contro l’umanità.

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Ciò nonostante in Polonia l’aborto continua a essere negato anche alle profughe vittime di stupro. E poi ci sarebbe anche la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata anche a Varsavia, ma dalla quale, la coalizione guidata dalla destra populista di Diritto e giustizia (Pis), ha paventato più volte il ritiro.

«Da noi l’ok per eseguire l’aborto sulle vittime di stupro può arrivare soltanto da un procuratore. Di solito le autorità polacche sono capaci di trascinare la cosa a lungo, al punto che alla fine non è più possibile intervenire. E anche se per miracolo si riesce a ottenere un’autorizzazione è difficilissimo poi trovare una struttura medica dove si possa praticare l’intervento. Nel voivodato della Precarpazia, ad esempio, è da anni che non si esegue un aborto», spiega Anita Kucharska-Dziedzic, deputata di Nuova Sinistra (Nowa Lewica).

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All’inizio di questo mese Kucharska-Dziedzic aveva presentato al Sejm, la camera bassa del parlamento polacco, un disegno di legge per sbloccare la situazione: «Il mio progetto avrebbe obbligato i procuratori a prendere una decisione entro 7 giorni sull’ammissibilità di una richiesta di aborto. Il ministero della giustizia ha forse temuto che troppe donne avrebbero potuto approfittare di un meccanismo decisionale più efficiente. La legge in Polonia dovrebbe adattarsi alle esigenze dei cittadini e non a quelle di vescovi e politici», precisa Kucharska-Dziedzic, la cui iniziativa è stata poi bocciata dal Sejm.

Il mese scorso era stata data anche la notizia di una profuga di 19 anni violentata da un cittadino polacco che le aveva offerto ospitalità a Breslavia. In Polonia la strada verso il diritto di scelta per le donne in fuga dalla guerra e non solo, adesso come non mai, è tutta in salita.