Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, dalla Russia è iniziata la più grande ondata migratoria dal crollo dell’Unione Sovietica. Molteplici le ragioni: persecuzione di attivisti e giornalisti, disaccordi con le autorità, timore di essere chiamati a combattere. In centinaia di migliaia hanno cercato di attraversare i valichi di frontiera per evitare di essere trascinati nella guerra di Vladimir Putin in Ucraina. Con la chiusura quasi totale dello spazio aereo europeo a tutti i voli in entrata e in uscita dalla Russia, rimanevano poche vie di uscita. I confini con la Georgia, la Finlandia e altre aree si sono trasformati in code infinite di persone che vogliono lasciare il paese, mentre le autorità russe cercano di fermare e arruolare chi fugge. Un esodo che in Europa e nei paesi confinanti solleva la questione dei rifugiati russi, vittime anch’esse della guerra: accogliere i renitenti alla leva o respingerli nella speranza di creare ulteriori disordini sociali in Russia? Alcuni russi ci raccontano la loro fuga per evitare la guerra e il regime di Mosca.

Anastasia Zhvik, giornalista
«Il 24 febbraio mi sono svegliata e ho letto la notizia che la Russia aveva attaccato l’Ucraina. Non potevo crederci, ma non appena mi sono affacciata alla finestra di casa ho sentito i droni volare dalla mia Crimea per bombardare l’Ucraina ovvero il mio Paese. Molti dei miei amici all’epoca stavano già pensando di andarsene, me compresa.
Per protesta ho deciso di attaccare un cartello «No alla guerra» sulla mia auto e portarla in giro per la Crimea. Già dal 6 marzo queste tre parole erano proibite, la polizia è venuta a casa mia. A giugno ho dovuto pagare una multa di 400 euro.
Nonostante ciò ho continuato a vivere in Crimea, lavorando come giornalista e scrivendo articoli contro la guerra. Ogni giorno avevo paura che la polizia venisse ad arrestarmi. Sembrava di essere tornati all’epoca sovietica, quando bisognava fare attenzione ai passi sulle scale.

Il 24 ottobre la polizia mi ha sequestrato computer e telefono. Sono stata accusata di avere dei referenti in Occidente che mi costringevano a scrivere qualcosa, che nei miei articoli gettavo fango sulla Russia, che ero una venduta. Hanno così avviato una nuova causa contro di me per aver screditato l’esercito e per le foto che avevo pubblicato su Instagram contro la guerra.

Poiché al primo processo amministrativo poteva seguirne uno penale, ho avuto paura. Così ho preparato la macchina, ho preso il mio cane e il 26 ottobre abbiamo lasciato la Russia per la Bielorussia. Volevo andare in Europa, essendo della Crimea ho la doppia cittadinanza, russa e ucraina, perché sapevo che l’ Europa aiuta gli ucraini. Ma ho incontrato dei problemi: la Lettonia e la Lituania non mi hanno fatta entrare perché ho la cittadinanza russa, ai russi è vietato l’ingresso dal 19 settembre. Ho chiesto allora di entrare come ucraina. Le guardie di frontiera mi hanno risposto che vengo dalla Crimea e poiché la Crimea è Russia dove non c’è nessuna guerra, mi hanno bloccata al confine.

Nel contempo su Internet diversi articoli personalizzati mi diffamavano. La gente minacciava di uccidermi e io avevo molta paura. Mi trovavo in una situazione terribile: non potevo tornare a casa e non potevo andare da nessun’altra parte a cercare aiuto. Alla fine, sono andata in Polonia. Per passare ho dichiarato di non avere la cittadinanza russa.
Dalla Polonia sono andata in Lettonia. Quando sono andata al centro di assistenza ucraino per ottenere il permesso di soggiorno per un anno, hanno iniziato a chiedermi della mia cittadinanza russa. Ho detto che non ce l’avevo, al che hanno iniziato ad accusarmi di mentire, a gridarmi contro, a chiedermi dove fossi stata negli ultimi otto anni, visto che ero arrivato solo ora.

Sono uscita dal centro di assistenza in lacrime e ho capito che qui non avrei ricevuto alcun aiuto. Infine ho deciso di andare in Germania. Il Paese non riconosce l’occupazione della Crimea e quindi aiuta i crimeani come gli altri ucraini. E così è stato: mi hanno rilasciato un permesso di soggiorno per un anno senza problemi.

Il 23 dicembre il governo russo mi ha definita agente straniero. Si tratta di un titolo assegnato a diversi attivisti, giornalisti e attivisti per i diritti umani dichiarati indesiderati dal regime per motivi fittizi di ricezione di denaro dall’estero e di attività politica. Queste persone e organizzazioni devono riferire quattro volte all’anno da dove provengono i loro soldi e come li spendono, devono apporre un cartello che attesti che sono «agente straniero» su tutti i social network, non possono insegnare, organizzare eventi per bambini e i loro depositi non sono assicurati. Se si infrange una qualsiasi delle regole per due volte, vanno incontro ad una responsabilità prima amministrativa e poi penale. Avrei potuto rimanere in Germania ed essere al sicuro, ma invece ho deciso di ritornare in Crimea. Anche se la prigione mi aspetta, voglio essere a casa con la mia famiglia e la mia gente e continuare a battermi per ciò che credo».

Arshak Makichyan, attivista
«Sono nato nel 1994 in Armenia poco dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Dopo la guerra del Karabakh, a causa del blocco de facto dell’Armenia, la mia famiglia si è trasferita in Russia.
Al quinto anno di Conservatorio sono andato alla mia prima manifestazione, si trattava di una marcia in memoria di Nemtsov (Boris Nemtsov era un politico dell’opposizione russa ucciso nel 2015, nel cuore di Mosca). Poi mi sono interessato alle tematiche ambientali e ho iniziato ad andare ogni venerdì in centro a Mosca per fare i picchetti. Ha cambiato molto la mia vita.

A poco a poco ho iniziato a ricevere sostegno da tutta la Russia, a ricevere attenzione dai media e a organizzare manifestazioni di massa. Ho ricevuto più volte minacce di morte e la polizia ha minacciato di mettermi in prigione. Dopo aver partecipato a un picchetto contro la non eleggibilità dei candidati alle elezioni della Duma di Mosca, sono stato arrestato per la prima volta. In pandemia anche i picchetti individuali sono stati proibiti e molti sono stati arrestati. Poi è iniziata la guerra.

Il 24 febbraio io e la mia ragazza dovevamo sposarci. Quando quella mattina ci siamo svegliati, all’inizio abbiamo pensato di far saltare il matrimonio, ma poi abbiamo deciso di farlo comunque. Mia moglie aveva un vestito blu e io una camicia bianca con la scritta «No war». Abbiamo scattato alcune foto e poi siamo andati a protestare. Ho pubblicato le foto sui social media e poi ogni giorno mi venivano chieste interviste da rilasciare a diversi media quali il Guardian, Fox News e altri giornali stranieri.

I primi giorni di protesta sono stati di massa, ma il settimo giorno abbiamo trovato solo molti poliziotti. Era evidente che tali proteste erano inefficaci e che qualcosa doveva cambiare.
Il 19 marzo siamo scappati in Germania, mi sarebbe piaciuto rimanere in Russia ma ora è impossibile. All’inizio pensavamo di andare via solo per riflettere e poi tornare. Ma ora tornare indietro è impossibile per me.

A un certo punto ho ricevuto l’avviso che era stata avviata una causa civile contro di me per privarmi, assieme alla mia famiglia, della cittadinanza russa. Il pretesto era che la casa in cui eravamo registrati si trovava in cattive condizioni.
In questo modo cercano di intimidire tutti gli attivisti e le minoranze.

Aanonimo, musicista
«Nel marzo 2022 volevo aprire il mio studio musicale a Kiev, ma è iniziata la guerra.
Per me è stata una sensazione innaturale, come se fossi coperto di fango perché mi trovavo in Crimea, un territorio che era occupato ma apparteneva ancora all’Ucraina, e da cui partivano aerei per bombardare l’Ucraina stessa che considero il mio Paese. Ho sentito decollare gli aerei da combattimento, poco dopo una mia conoscente di Odessa mi ha informato di un raid aereo in corso. Non capivo come fosse possibile rimanere sotto il governo di un regime che di fatto attaccava il mio Paese.

Il 25 febbraio mi sono recato al valico di frontiera russo-georgiano di Verchniy Lars. Volevo attraversare il confine, ma sono stato fermato dagli agenti dell’FSB che mi hanno interrogato sui miei legami con l’Ucraina, mi hanno accusato di aver attraversato illegalmente il confine e mi hanno minacciato di portarmi in galera. Alla fine sono ritornato in Crimea.

Ho capito che l’obiettivo dell’esercito era quello di spaventarmi e, compiuto 27 anni a marzo, ho deciso di lasciare a tutti i costi la Russia. Ho comprato un biglietto aereo da Mineralnye Vody (dopo il 24 febbraio l’aeroporto di Simferopol è stato chiuso a causa della guerra – ndr) per l’Armenia e da lì ho raggiunto la Georgia dove mi trovo da 10 mesi. All’inizio ho partecipato a varie iniziative di beneficenza e ho aiutato i bambini ucraini rifugiati.
A gennaio volevo ritornare a Kiev perché non posso e non voglio essere altrove se non in Ucraina. La guerra e la paura che mi possa accadere qualcosa non mi impediscono di essere lì».

Anonimo, informatico
«Il 19 febbraio io e mia moglie stavamo programmando una vacanza in Portogallo. Cinque giorni dopo la Russia ha attaccato l’Ucraina. All’inizio non ci credevamo, pensavamo che in un giorno o due tutto si sarebbe sistemato.
Poi diversi Paesi hanno chiuso i voli per la Russia e abbiamo iniziato a temere di non potercene andare. Dovevamo partire dal Portogallo il 2 marzo, ma il 1° marzo il Paese ha chiuso i collegamenti aerei con la Russia. Così abbiamo comprato un volo per Istanbul, dove abbiamo trascorso qualche giorno. Non avevamo chiaro cosa fare, alla fine siamo rimasti in Turchia per un mese.

Poi siamo tornati a Mosca dove sembrava che non stesse accadendo nulla.
Il 21 settembre però viene annunciata la mobilitazione in Russia, così abbiamo iniziato a discutere con i nostri amici sul da farsi. Alcuni miei conoscenti hanno immediatamente acquistato i biglietti e lasciato il Paese, altri ci stavano solo pensando. Quando mia moglie mi ha suggerito di partire immediatamente, i biglietti erano già molto costosi o non c’erano affatto. Al confine inoltre gli uomini hanno iniziato ad essere fermati.

Non volevo comunque lasciarla da sola con il cane. Decidemmo quindi di partire insieme e il 26 settembre abbiamo raggiunto la Georgia attraverso il valico di frontiera di Verchniy Lars. Il giorno dopo eravamo a Vladikavkaz. Ma poiché in quei giorni c’erano molte persone che volevano fuggire per evitare la mobilitazione, le autorità hanno iniziato a chiudere gli ingressi e a creare posti di blocco.

Da Vladikavkaz al confine dovevamo superare due posti di blocco, la gente del posto ha proposto di portarci oltre per 500 euro. Ci hanno accompagnati al passo, poi ci hanno detto che potevamo proseguire da soli e che non ci sarebbe voluto molto per arrivare. Non era vero.

Non siamo riusciti a passare a causa di una strada dissestata, allora delle persone con una Niva si fermano e ci offrono di aiutarci a passare per altri 200 euro dicendoci che saremmo arrivati in 15 minuti, ma non era vero: abbiamo viaggiato per altre due ore finendo in un ingorgo lungo 5 chilometri.

Ci siamo spostati di 500 metri in 24 ore, una situazione molto incerta tanto da indurci a tornare indietro. Alcune persone hanno pagato 1000 o 2000 euro per essere condotte oltre l’ingorgo in un’auto con le luci lampeggianti. Altri, per attraversare il confine, hanno acquistato biciclette a 500 euro.

Alla fine, siamo rimasti in piedi per 36 ore senza ottenere nulla. Il 28 settembre, per disperazione, abbiamo deciso di tornare a Mosca. Inizialmente, pensavamo di andare direttamente in Finlandia, visto che avevamo un visto Schengen. Ma il 30 settembre il Paese ha chiuso gli ingressi ai russi. Una volta tornati a casa, poco dopo abbiamo comprato un biglietto per il Kirghizistan e il 30 settembre ho preso il volo mentre mia moglie è rimasta a casa. Tre giorni dopo ho attraversato il confine a piedi e sono arrivato in Uzbekistan, dove ho vissuto per un mese. Poi sono volato in Georgia dove, una settimana dopo, mi ha raggiunto anche mia moglie e il cane. In Georgia ora ci sono molti russi, per questo è difficile trovare un alloggio e i prezzi sono saliti alle stelle, ma siamo stati fortunati e abbiamo trovato un appartamento a 800 dollari tramite un’agenzia immobiliare. Ora non abbiamo nessuna intenzione di ritornare in Russia. Sto cercando un lavoro in Europa, spero di potermi presto trasferire lì».