«Un paese nuovo: è tempo di pensare a cosa vogliamo»

M. ha 25 anni. È laureato in Scienze politiche e lavora nel negozio di suo fratello.

«Se per ipotesi domani al risveglio non trovassimo più l’apparato politico e amministrativo responsabile della mancanza di libertà sociale e politica, saremmo contenti. Ma questa è solo la parte emotiva della questione. La maggioranza della popolazione è frustrata, ha subito molte pressioni, delusioni, violenze, soprusi. Ha perso completamente la fiducia nei politici e nei dirigenti, è naturale che sia arrabbiata e che voglia spedire tutti all’inferno. Ma occorre pensare che per prima cosa una rivoluzione è un mutamento violento, ogni parte combatte per la sua sopravvivenza, perciò fiumi di sangue e lacrime. Ancora più importante è il dopo: come dovrebbe essere e come vogliamo che sia il nostro Iran.

Ecco perché diventa importante sapere dove vogliamo andare e come. Ci sono tanti motivi che ci spingono alla ribellione economica, sociale, politica, ma tutto converge nella sofferenza causata dal malgoverno e dall’imposizione di un modello che non funziona più. Se mai ha funzionato. Questo deve cambiare non necessariamente attraverso una rivoluzione che quasi sempre è distruttiva. Se otteniamo i diritti delle donne, a vivere in sicurezza e la libertà sociale e politica, il resto lo costruiamo noi. Non c’è bisogno di portare al patibolo tutti e distruggere tutto.

Se costringessimo l’establishment a rispettare i nostri diritti, in poco tempo cambierà tutto. La nuova generazione ha una immensa potenzialità, il vecchio modello non può resistere. Moltissimi intellettuali e esperti indipendenti ridotti al silenzio possono dare una mano. Se potessimo portare le nostre idee al vaglio della gente, il cambiamento sarà inevitabile. Ci vorrà tempo e lavoro, forse i nostri figli avranno un paese completamente libero e indipendente che può trovare il suo vero valore nel mondo».

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«Basta fuggire all’estero per avere un futuro diverso»

S. ha 25 anni, è infermiera in un policlinico privato.

«Cinque componenti della mia famiglia vivono all’estero. So la sofferenza che hanno subito nel lasciarci. Capisco la depressione che vivono lontano dall’odore e dai colori dei luoghi in cui sono nati e vissuti. Io non ho né voglia né coraggio di vivere senza. All’estero non ci sono soltanto iraniani istruiti e benestanti con la ferita della patria nel cuore. Ci sono anche quelli che hanno sofferto l’inverno in Bielorussa alla porta dell’Europa con bambini e donne. Sono andati via perché non vedevano il futuro sotto questa cappa di oppressione.

È del tutto ovvio che desiderano una rivoluzione che cancelli ciò che ha causato la loro sofferenza. Però io non voglio costruire il mio futuro sul sangue e sulle lacrime. Già lo hanno fatto i nostri padri nel 1979 ed ecco dove siamo arrivati.

Quanto sangue dobbiamo ancora soffrire e quante lacrime ancora devono versare i nostri genitori? Un nuovo sistema basato sulla forza, sulla vendette, sul rancore, quando potrebbe durare? Io ho ventiquattro anni e non voglio dire a mio figlio che per dargli un futuro libero sono stata costretta a uccidere e distruggere. È vero, questi uomini malvagi ci picchiano, ci uccidono ma io non voglio essere come loro. È vero, oggi manifestiamo, ci stiamo sacrificando solo per essere visibili e forse questi discorsi sono un può prematuri. Ma è cominciato un processo irreversibile e nessuno può fermarlo».

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«Una ribellione nata dall’ingiustizia»

F. è laureato in pedagogia e attivista sociale. Ha 28 anni.

«Abbiamo solo una via davanti: la rivoluzione. Negli anni, questo Stato ha dimostrato ripetutamente di non aver né voglia né capacità di ascoltare e cambiare. In questo paese ci sono migliaia di intellettuali, esperti e veri dirigenti, scienziati, artisti. Ma appena sono entrati in collisione con il modello dominate sono stati ridotti al silenzio o costretti a fuggire all’estero.

Questo sistema è arroccato in un pensiero unico che non conosce altro. Ha devastato la vita dei nostri padri e delle nostre madri e ora sta rubando il nostro futuro. Siamo da tre settimane in piazza, hanno ucciso e calpestato i bellissimi fiori che erano il futuro del paese. Mahsa, Nika, Sarina e tanti altri. Hanno trucidato gli angeli (bambine e bambini) a Zahedan, alzano la mano sulle donne e sui bambini. Capiscono solo una lingua: la forza.

Molti dicono che la rivolta è influenzata dalle organizzazione iraniane di opposizione all’estero, Ma per favore. Ci sono così tanta miseria e ingiustizia che non c’è bisogno di essere influenzati da nessuno per ribellarsi. E poi non siamo così ingenui, la storia di quelle organizzazioni è importante, ciò che hanno fatto e fanno. Chi pensa che vogliamo tornare alla monarchia e costruire un’altra Tehrangeles o un paese teocratico marxista significa che non conosce la realtà del paese a 360 gradi. Vogliamo un paese in cui tutti abbiano diritto di cittadinanza e la libertà di esprimere le proprie idee e in cui la sfera privata sia protetta dai soprusi dell’uno o l’altro gruppo di potere».