Vladimir Arsenijevic, scrittore per una Serbia oltre la nazione
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Vladimir Arsenijevic, scrittore per una Serbia oltre la nazione

Intervista Il romanziere e attivista racconta il suo lavoro, fortemente intrecciato agli eventi sociali e politici del XX e XXI secolo in Jugoslavia e a Belgrado
Pubblicato 11 mesi faEdizione del 16 dicembre 2023

Nella biografia pubblicata sul sito personale, Vladimir Arsenijevic scrive che è nato a Pola, nella Repubblica Socialista di Croazia, nella Repubblica Socialista Federale della Jugoslavia. Una sottolineatura che lo pone distante se non avverso alla svolta nazionalistica della Serbia attuale. Scrittore, editore, columnist, attivista culturale ha pubblicato di recente Cloaca Maxima, una tetralogia che comprende Sottocoperta (con Predator gli unici due romanzi tradotti in italiano), Andela, Verso il confine, Spiriti.

Musicista punk, dopo una parentesi a Londra, nel 1989 tornò a Belgrado, dove visse l’esperienza della guerra. Nel 2009 ha fondato l’Associazione K.R.O.K.O.D.I.L che sta per ‘Incontro regionale letterario che allevia la noia e la letargia’, con cui organizza l’omonimo Festival che accoglie scrittori e intellettuali per discutere i temi più rilevanti della società contemporanea. Sono stati ospiti delle 14 edizioni precedenti autori come Irvine Welsh, Hanif Kureishi, Margaret Atwood, Georgi Gospodinov, Aleksandar Hemon, Mira Furlan, Boris Buden, Ivan Krasten.

Da musicista punk a scrittore militante… la tua vita, non solo letteraria, è sempre fortemente intrecciata agli eventi sociali e politici del XX e XXI secolo. Partiamo dalla tua ultima fatica letteraria, «Cloaca Maxima», finalmente pubblicata…
Ho iniziato a scriverlo trent’anni fa, primavera del 1991, quando l’esercito jugoslavo si mosse in Slovenia per rioccupare i luoghi di frontiera e scontrarsi con le guardie territoriali slovene che non avevano un esercito, perché fino ad allora non avevamo mai considerato la Slovenia uno stato straniero. Sono cominciate così le guerre balcaniche. Tutti eravamo assolutamente scioccati. Vedere questo scenario molto famigliare delle montagne slovene e tutto ciò che riconoscevamo come la nostra casa, e poi vedere le persone ammazzate sulla strada, è stato assolutamente scioccante. Non riuscivo proprio ad accettarlo, non aveva senso per me. Fra di noi parlavamo di crisi, non di guerra, dicevamo «sì, in qualche modo si risolverà, nel 1989 è caduto il muro di Berlino, c’è stato Gorbaciov, l’unificazione dell’Europa… Noi possiamo essere così stupidi?». Semplicemente non ci sembrava logico. E poi tutto è precipitato, con gli scontri fra i croati e i reparti dell’allora esercito federale jugoslavo, le distruzioni a Vukovar e poi a Dubrovnik furono assolutamente incredibili. Ero semplicemente scioccato.

Hai cominciato a scrivere Sottocoperta con il rumore delle armi…
All’inizio del 1992, Radio B92 così importante per la cultura giovanile era contro la guerra, invitava le persone a scrivere storie di guerra. Io ero davvero molto motivato da tutto ciò. È così che nacque la prima stesura di Cloaca Maxima, coincideva con la prima stesura di Sottocoperta, il mio primo romanzo, e gliel’ho mandata. Nel frattempo cominciava la guerra anche in Bosnia all’inizio di aprile. È impossibile che accada, mi dicevo, non era immaginabile che qualcuno osasse toccarla perché era così fragile. Ovviamente mi sbagliavo ancora. E così la guerra ricominciò…. Sottocoperta non venne inserita nell’antologia di B92, tutte le altre storie avevano davvero a che fare con situazioni di guerra reali. E io invece non avevo scritto come se fossi in trincea e sparassi al nemico.

È la tua biografia?
Avevo scritto di una giovane coppia che vive una vita apparentemente normale, col peso dei propri demoni e dell’eroina e altre bruttezze della vita a Belgrado, del desiderio di avere un bambino mentre la guerra continua e tutto viene distrutto e non riescono più a riprendersi la vita. E in quel processo di creazione, ho iniziato a pensare a cosa sarebbe successo dopo, perché non mi sembrava giusto che ci fosse quel lieto fine della nascita con la tragedia in corso. No, non andrà tutto bene. Lo sanno tutti. E così ho deciso di intitolare il romanzo Sottocoperta e di intitolare l’intero progetto dei quattro romanzi Cloaca Maxima. E ho aggiunto il sottotitolo soap opera perché oggi probabilmente l’avremmo chiamato reality show o qualcosa del genere. Scrivendo soap opera rappresentavo questa esagerata rappresentazione televisiva della realtà. E pensavo che ciò che stavamo vivendo in termini molto oscuri fosse in realtà qualcosa di simile a una telenovela.

È quindi un’opera cominciata con la guerra balcanica e finita con un’altra guerra, quella in Ucraina? Puoi dire qual è il sentimento comune dei serbi rispetto alla guerra in Ucraina?
Sì, stavo ancora finendo di scrivere Cloaca Maxima quando è scoppiata la guerra in Ucraina. Il sentimento dei serbi è molto pro Russia. All’inizio i pro erano quasi il 90% e ora meno del 70%, comunque due terzi della società. Quando è iniziata la guerra in Ucraina i titoli in prima pagina erano scioccanti, «L’Ucraina ha attaccato la Russia», hanno scritto che il 24 febbraio l’Ucraina è andata oltre il suo confine e ha attaccato la Russia, presentando Putin come un eroe. La narrazione è tutta così: i paesi occidentali ci hanno bombardato negli anni Novanta, la Russia non ci ha mai bombardato. Tutto viene semplificato ed è ridicolo.

In Serbia, sono arrivati circa 200.000 cittadini russi, e poi abbiamo una diaspora ucraina abbastanza consistente di circa 20.000 persone. Dieci russi per un ucraino. Senti parlare russo ovunque. Provengono da Mosca, da San Pietroburgo e altre grandi città. E si tratta per lo più di persone istruite, persone che lavorano nel settore informatico o persone in affari, ma anche un gran numero di persone Lgbt, attivisti anti-Putin e pacifisti in pericolo nel regime di Putin. Hanno organizzato manifestazioni contro la guerra, proteste davanti all’ambasciata russa. Siamo rimasti molto colpiti dal coraggio civico perché la maggior parte di queste persone sono obbligate a tornare in Russia dopo 30 giorni per rinnovare il visto turistico, ma non vogliono rimanere in Russia e neppure farsi arrestare. Se non ci fossero stati i russi queste manifestazioni contro la guerra a Belgrado non sarebbero mai avvenute.

Con la tua associazione Krokodil siete impegnati in azioni di sostegno umanitario ma anche per rafforzare il dialogo e la collaborazione con gli scrittori ucraini.
Abbiamo legato molto con la diaspora ucraina in Serbia. Non solo abbiamo raccolto aiuti umanitari, ma abbiamo accolto in residenza gli scrittori ucraini con il programma Writers in Exile. L’anno scorso abbiamo avuto 11 persone con le loro famiglie provenienti direttamente dalle zone di guerra. Abbiamo allestito una biblioteca ucraina nel KOKODRIL, acquistato 500 titoli di letteratura ucraina contemporanea, libri per bambini, abbiamo tradotto testi, organizzato prestito di libri, laboratori per bambini, lezioni di lingua serba. Eppure quando abbiamo iniziato a raccogliere aiuti umanitari per la prima volta, nel marzo 2021 il numero delle persone che hanno deciso di aiutare è stato solo di sei. Quattro erano serbi che vivevano all’estero e solo due provenivano dalla Serbia. Quando Andrej Ljubka, lo scrittore ucraino mi ha chiesto quanti soldi avevo raccolto dalla gente in Serbia, ho dovuto dirglielo, 150 euro. Mi sono vergognato. Raccoglievamo soldi per l’ospedale di Kharkiv, l’ospedale per i bambini nati prematuri. La gente non sapeva come reagire a quella cosa. L’estate scorsa, invece, molte più persone si sono unite e hanno portato tutto ciò che potevano, pannolini, cibo, vestiti caldi e qualsiasi cosa destinata a un centro sociale che si trova nell’estremo oriente dell’Ucraina, popolazione rurale che aveva bisogno di aspirina e pannolini per gli anziani. Facciamo tutto questo perché vogliamo davvero aiutare, ma lo facciamo anche perché vogliamo contrastare le narrazioni revisionistiche e nazionalistiche della Serbia.

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