Vlad Petri: «Gli archivi sono vivi e parlano di noi»
Berlinale 73 Intervista con il regista di «Between Revolutions», presentato al Forum, dove una relazione epistolare e amorosa tra due donne si intreccia con gli eventi storici di Iran e Romania
Berlinale 73 Intervista con il regista di «Between Revolutions», presentato al Forum, dove una relazione epistolare e amorosa tra due donne si intreccia con gli eventi storici di Iran e Romania
Il movimento della storia è come un fiume vorticoso e irruento, sembra spingere corpi, speranze, parole dove desidera. Cosa resta degli individui e della loro aspirazione alla felicità? Ce lo si chiede guardano il film del rumeno Vlad Petri, Between Revolutions, presentato nella sezione Forum della Berlinale. Le rivoluzioni sono quella khomeinista iraniana del ’79 e quella rumena, con la caduta del regime di Ceausescu. In questo arco temporale due donne, Maria e Zahra, si scambiano lettere, divise dagli eventi ma anche dall’impossibilità di esprimere pienamente i loro sentimenti. Il film è composto da un sapiente lavoro sui materiali d’archivio, che illumina questi momenti storici con visioni che colpiscono per la loro emblematicità e che riempiono di emozioni contrastanti. «Io credo che gli archivi siano vivi, se avessi fatto questo film cinque anni fa sarebbe stato completamente diverso. I materiali si trasformano perché li guardiamo con gli occhi del presente, per questo ci insegnano sempre qualcosa di nuovo» spiega il regista, che per la parte rumena del film si è nutrito anche di elementi biografici e del lascito di quella frattura storica vissuta in prima persona.
Perché hai scelto di raccontare una storia femminile, e come è stato adottare quel punto di vista?
Tutto è iniziato da alcune conversazioni che ho avuto con mia madre sui suoi anni da studentessa in cui mi ha raccontato dei giovani stranieri che venivano a studiare in Romania negli anni del comunismo, provenivano soprattutto da Paesi non-allineati del Medio oriente o del Nord Africa. Ho parlato poi con la scrittrice Lavinia Braniste, che ha scrittola corrispondenza tra le due donne ispirandosi ai rapporti dei servizi segreti. L’Iran e la Romania avevano due regimi dominati da figure dittatoriali paternaliste, anche per questo mi interessava adottare una prospettiva femminile, chiedendomi come potesse essere per loro vivere in quel contesto. Come sappiamo l’Iran è diventato sempre più oppressivo per le donne, ma anche in Romania non c’era quell’emancipazione che la propaganda voleva far credere. Durante il regime comunista l’aborto era proibito e la misoginia era profonda.
Come hai lavorato con gli archivi? Il tuo non è solo un interesse documentario, c’è una ricerca estetica evidente.
Ho iniziato a fare ricerca in Romania durante la pandemia, molte istituzioni erano chiuse ma gli archivi di Stato mi hanno aperto le porte. Passavo giornate intere a guardare vecchi filmati in 35mm e ad osservare il passato che riprendeva vita sullo schermo. Inizialmente il film era composto solamente da video di propaganda ma poi ho sentito il bisogno di inserire materiale più personale, e mi sono concentrato anche sul found footage. Per l’Iran non è stato semplice, gli archivi sono monopolizzati dallo Stato e non è facile accedere, c’è stata una persona, che vuole rimanere anonima per ragioni di sicurezza, che mi ha dato un grandissimo aiuto. Sono molto grato poi a chi ha filmato questi bellissimi materiali, ora c’è il video ed è un bene perché è più democratico, ma girare in pellicola richiedeva una maggiore attenzione all’estetica. Per la mia composizione mi sono lasciato guidare dalle emozioni, il film è sulla memoria e sul rapporto tra immagine e parola, mi interessava ci fossero dei vuoti perché così funziona il nostro modo di ricordare.
Guardando le immagini si provano speranza e disillusione, sentimenti forse sempre presenti in questi grandi movimenti politici.
Quando c’è stata la rivoluzione in Romania avevo dieci anni, il capitalismo era un’utopia che ha presto deluso tutti. Per l’Iran è stato forse ancora più forte, così tanti uomini e donne erano entusiasti di liberarsi dello scià e della sua brutale polizia politica, per strada c’erano persone di classi diverse, dai proletari agli intellettuali. Volevo mettere in gioco queste emozioni perché anch’io le ho vissute. Quello che i filmmaker hanno fatto durante quei movimenti è fantastico, e possiamo vedere delle similitudini tra i modi in cui in Iran e in Romania le persone hanno desiderato essere al centro dell’azione e della storia.
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