«Come donna francese senegalese, come regista, ho fatto la mia scelta. Sono tra coloro che rifiutano di dimenticare e di accettare l’amnesia come metodo». Le parole di Mati Diop risuonano nel Berlinale Palast quando la regista accetta l’Orso d’oro per il suo film Dahomey, documentario incentrato sulla restituzione di parte del tesoro del Benin da parte della Francia, che se ne era appropriata durante la colonizzazione alla fine dell’800.

«Quando ho immaginato come la restituzione potesse effettivamente apparire ho sentito un suono, come un terremoto. Qui a Berlino, alla première del film, ho capito quel tremito era il muro che è collassato, il muro della negazione che tutti dobbiamo tirare giù». La regista, visibilmente commossa, ha poi affermato: «Restituzione significa fare giustizia, significa radicarci nuovamente nella storia. Non possiamo liberarci del passato ma possiamo prenderci le nostre responsabilità. Dedico questo premio a tutte le persone grazie alle quali la nostra bellezza e la nostra forza vengono ascoltate». Mati Diop, infine, ha dichiarato la propria solidarietà ai palestinesi e a chi in Senegal sta lottando per la giustizia.

Il tema del colonialismo è tornato anche nelle parole del regista della Repubblica Dominicana Nelson Carlos De Los Santos Arias. Con il suo Pepe ha vinto l’Orso d’argento per la miglior regia. «Abbiamo grandi problemi nel parlare in modi che vadano oltre l’eurocentrismo e l’imperialismo americano, manchiamo di immaginazione, di pensiero e di teorie politiche».

DISCORSO di accettazione «politico» anche per Ben Russell e Guillaume Cailleau, che con Direct Action hanno vinto la sezione Encounters. «Facciamo film per stare vicino a persone che ammiriamo. Una comunità radicale (quella della Zad, che ha lottato contro il nuovo aereoporto di Nantes) che ci ha mostrato cosa significa vivere con speranza in tempi bui».

Quest’edizione è stata anche l’ultima con Carlo Chatrian e Mariette Rissenbeek dopo cinque anni alla direzione del festival. «Sono un po’ melanconica e felice allo stesso tempo» ha affermato Rissenbeek – che ha anche ricordato il secondo anniversario della guerra in Ucraina, lo scoppio del conflitto fu anticipato due anni fa dal film Klondike – mentre Chatrian si è detto «pieno di gioia. Abbiamo condiviso storie, con la responsabilità di mostrarne alcune e non altre, e immagini che ci muovono. In un periodo in cui abbiamo difficoltà a comunicare, i film ci aiutano a connetterci»