Il primo a gridare allo scandalo è stato il sindaco di Berlino, Kai Werner (Cdu): «Quello che è accaduto alla cerimonia di premiazione della Berlinale è intollerabile. L’antisemitismo non è ammesso a Berlino, e questo vale anche per gli artisti» ha scritto su X augurandosi che la prossima direzione (l’ ex direttrice del festival di Londra Tricia Tuttle, ndr) «torni a rispettare le regole». Una frase inquietante, e ancor più di fronte alle dichiarazioni di Claudia Roth che gli hanno fatto eco. La ministra Verde della cultura tedesca ha annunciato in accordo con Werner «un’indagine per capire se il festival ha fatto abbastanza per essere uno spazio di dialogo»: «Dobbiamo in futuro rendere la Berlinale un luogo libero dall’odio, dall’antisemitismo, dal razzismo, dall’islamofobia». Anche il cancelliere Olaf Scholz (Sdp) ha condannato la posizione «unilaterale» espressa nel festival: «Ogni intervento su questo argomento non può prescindere da ciò che ha innescato questo nuovo conflitto, ovvero l’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre».

Yuval Abraham
Il canale 11 di Israele ha trasmesso un segmento del mio discorso dopo il premio e lo ha definito, follemente antisemita. Da allora ho ricevuto minacce di morte Al centro delle polemiche, che uniscono le forze politiche tedesche, c’è la serata di premiazione della 74a Berlinale nel corso della quale le artiste e gli artisti sul palco, in diretta e davanti agli occhi del mondo, hanno chiesto il cessate il fuoco su Gaza criticando l’azione militare israeliana contro i civili palestinesi che continua a causare migliaia di morti, feriti, sfollati fra le macerie. A contrariarli è stato probabilmente anche il premio a No Other Land, il film firmato da un collettivo di attivisti palestinesi e israeliani, che ha vinto non solo come miglior documentario ma anche il premio del pubblico di Panorama dimostrando così che nonostante la censura messa in atto in Germania sul conflitto in Palestina, con l’accusa di antisemitismo verso chiunque critica Israele (e l’esclusione di artisti palestinesi dai finanziamenti e quant’altro) c’è una sensibilità fra le persone molto diversa, che chiede un dialogo reale ben al di là delle imbarazzate parole ufficiali.

QUANTO accaduto durante la premiazione ha interrotto un’ambiguità di non detti sull’argomento che era già lì da prima dell’inizio del festival – degli artisti aderendo al German Strike avevano ritirato le opere – a cui era stato chiesto da molte parti – un gruppo di lavoratori della Berlinale, i registi – di esprimere una posizione ufficiale di condanna del conflitto. Questo perché rispetto a altri festival, quali Cannes o Venezia, quello di Berlino ha una storia e uno status politici per definizione, che lo hanno sempre reso un riferimento nelle questioni di attualità internazionali – è accaduto con l’Ucraina supportata subito, dall’invito a Zelensky alla massiccia presenza di opere e artisti ucraini. Cosa che invece nel caso della Palestina non c’è stata, con la scelta di conformarsi alle posizioni ufficiali negando uno spazio più articolato di confronto fra opinioni.

Kai Werner
Quello che è accaduto alla premiazione della Berlinale è intollerabile. L’antisemitismo non è ammesso a Berlino, e vale anche per gli artistiNo Other Land si ferma prima del 7 ottobre, prendendo il premio Yuval Abraham, giornalista israeliano che firma il film insieme a Basel Adra, palestinese e a Hamdan Ballal e Rachel Szor, ha sottolineato la diversa condizione fra lui e Adra: « Io sono israeliano, Basel è palestinese, viviamo in una terra dove non siamo uguali, non abbiamo gli stessi diritti. Questa situazione deve finire».

GIRATO tra l’estate del 2019 e l’inverno del 2023, No Other Land denuncia proprio questa diseguaglianza, e la costante violenza esercitata da Israele sui palestinesi negli insediamenti occupati in Cisgiordania, in particolare a Masafer Yatta, di cui documenta giorno dopo giorno la distruzione israeliana e la disperata resistenza degli abitanti palestinesi che continuano a difendere la loro terra, le loro case, la loro vita. A un certo punto Adra incontra Abraham e il film diviene anche il racconto di un’amicizia nella battaglia comune per dare una memoria alle esistenze fragili dei palestinesi. I quali devono affrontare oltre alla distruzione delle loro case e delle scuole, l’interruzione dell’acqua e dell’elettricità, il divieto di circolazione delle automobili, una burocrazia che è anch’essa una forma di violenza, la sistematica violazione dei diritti umani e le aggressioni e gli abusi costanti dei coloni compiuti con la protezione dell’esercito israeliano. Questa lunga storia di ineguaglianze e mancanza di rispetto per i diritti, che pure dovrebbe essere alla base di ogni democrazia, emerge in ogni immagine, in ogni momento di una situazione che non è iniziata ora, e che non può essere tollerabile mai, in alcun modo nel presente. Abraham è stato subito accusato in Israele di «antisemitismo». «Il canale 11 di Israele ha trasmesso un segmento di 30 secondi del mio discorso dopo il premio e lo ha definito, follemente, ’antisemita’. Da allora ho ricevuto minacce di morte» ha detto.

Ieri la Berlinale ha inviato una nota puntualizzando che le posizioni degli artisti non sono quelle del festival. Secondo Mariette Rissenbeek, codirettrice uscente insieme a Carlo Chatrian, gli ospiti dovevano rilasciare dichiarazioni più differenziate: «Vogliamo scambiare idee con altre istituzioni sociali e politiche su come condurre un discorso sociale su questo tema estremamente controverso in Germania senza che le singole dichiarazioni vengano percepite come antisemite o anti-palestinesi». Peccato che ancora una volta si continui così a alimentare una narrazione di ambiguità.