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Vivere nelle favelas senza perdere il ritmo

Vivere nelle favelas senza perdere il ritmoDalla "porta do ceu", veduta delle favela di Rocinha – Ivan Grozny Compasso

Rio 2016 Le Olimpiadi viste da lontano. Riscatti poetici, dalla Rocinha al morro di Turano, ballando funk e samba

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 17 agosto 2016
Ivan Grozny CompassoRIO DE JANEIRO

Arrampicarsi su un morro è un’attività molto più comune di quanto si pensi. Nelle favelas più grandi, come Rocinha o Vidigal, è più facile, perché per quanto ripidi i percorsi si può sempre scegliere di prendere un van che collega la parte bassa con quella alta. O il moto taxi. Se ne vedono tantissimi e la maggior parte non ha un regolare permesso. Gli stranieri si guardano bene dall’utilizzarli, un po’ per diffidenza e un po’ perché non si vuole mettere un casco indossato da mezza Rio.

A parte l’esperienza di sfrecciare a un dito dalle auto in coda e qualche brusco cambio di direzione, i moto taxi arrivano dappertutto e abbattono i costi dei trasporti. I più poveri si muovono così. A Rocinha, ad esempio, ci sono diversi punti ritrovo di questi motoclisti. Uno nella parte più alta, uno a metà, uno nella piazza del mercato e uno proprio appena giunti, giusto sotto il ponte – progettato da Oscar Niemeyer – con la grande arcata che consente di attraversare la strada senza correre rischi.

Proprio nella parte bassa, verso il tunnel che porta a Lagoa, c’è un torrente d’acqua che si porta con sé gran parte dei rifiuti della favela. Questi poi arrivano al mare quasi senza trovare ostacoli. Arrivano a São Conrado, una delle spiagge più esclusive di Rio, cornice al quartiere di lusso che separa la più grande favela del Latinoamerica dal mare. Rocinha conta più di 200 mila residenti reali, a fronte dei 60 mila ufficialmente riconosciuti. Resistono dalla Coppa del Mondo 2014 le decorazioni verdeoro e anche per il resto nulla è cambiato. Politici di tutti i colori hanno promesso molto, negli anni, ma nulla è arrivato. Di quello che la gente chiede, almeno. Il territorio in cui sfocia questo fiume di rifiuti è off limits, perché di pertinenza di chi gestisce i traffici in questa favela «pacificata». Lì nascosta c’è la cosiddetta boca do fumo dove vengono lavorate e impacchettate le dosi che poi saranno vendute per strada. Ci sono dei ragazzi armati all’entrata e non si possono scattare foto. Maconha (erba) e coca sono di pessima qualità e con l’arrivo dei Giochi questa si è ancora abbassata, ma soprattutto nordamericani e argentini non sembrano badarci.

Al mercato di Rocinha un camion è intrappolato nel traffico. Dalle casse del mercato si sente a tutto volume l’intro del Baile de favela, di Mc João. È il pezzo più ballato delle feste in favela. Miscela di funk e rap super spinto, i bassi fanno tremare le casse, la voce di un dj richiama l’attenzione. Sul retro del camion scoperto che aspetta di passare, carico di polli chiusi ognuno in una gabbietta, sono seduti quattro ragazzini. Sentite le prime note uno dei quattro salta giù e comincia a ballare in mezzo alla strada. Avrà si e no dodici anni. L’addetto al traffico comincia a fischiare per far transitare un’auto incolonnata dietro il camion. Il piccolo si sposta senza perdere il ritmo. Riguadagna la posizione, duetta con uno dei ragazzini che è rimasto sul mezzo e poi, quando vede che questo accelera perché si è liberato un varco, gli corre dietro ridendo. Intorno la vita continua a scorrere come nulla fosse.

 

O baile de favela ha un testo più che esplicito, dove alla fine, come sempre in questo tipo di canzoni, l’uomo si porta a letto una o più donne, mentre giudica male un’altra se lo ha tradito o non lo ha voluto.

Ma non c’è solo il funk e il rap tra i ragazzi. Il samba non perde mai di fascino e non c’è età per questo. Per le strette strade di Rocinha tre uomini suonano dei secchi abbandonati. Due di plastica e uno di latta. Al sentire il ritmo del samba tre ragazzini lanciano le loro havayanas e cominciano a ballare. Attorno a loro indifferenza perché per chi abita qui, è una scena abituale. Per chi non ci è abituato è una grossa emozione vedere in questo vicolo uno spettacolo del genere.

 

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foto di Ivan Grozny Compasso

 

Rio Comprido si trova dalla parte opposta, nella parte Est della città. È un’altra zona “complicata”. Soprattutto la favela di Turano che si arrampica sul morro che sovrasta questa parte di Rio. Qui il professor Luiz Lula ha aperto la 14ma scuola di samba per ragazzi. La sua idea è semplice. Per togliere i ragazzi dalla strada bisogna offrire loro delle alternative valide. Bisogna anche andare incontro alle loro esigenze, alla voglia di esplorare e di giocare. Lui glielo fa fare con gli strumenti musicali. Insegnante di musica, dedica il resto del tempo, insieme alla moglie, a quest’attività. Una volta formati i ragazzi più grandi, allievi che magari lo seguono da anni, affida a loro la scuola in modo da poterne aprire un’altra in una favela diversa. «Quelli che diventano davvero bravi – racconta – è giusto che insegnino agli altri. Ma tutti rimangono poi coinvolti alle attività. Così nelle favelas rimane un luogo dove poter suonare, un posto sicuro e stimolante le persone. Tutto per mano di chi lì ci vive e ci è cresciuto».

Luiz Lula fa questo da vent’anni e più ma non sembra stanco. Dalla finestra della grande stanza dove provano una dozzina di ragazzini, insieme ad adulti, si scorge Turano. Anche qui come per Rocinha o com’è stato per Acari o Piquerobi, bisogna farsi amico chi controlla la strada, con la garanzia di un conoscente comune e solo a quel punto si può passare.

Scortati fino a che non si arriva nel vicolo che può solo portare su, una rampa di scale dopo l’altra si arriva a caso di Carlito, il poeta. Il Brasile è quel Paese in cui se si dice di essere «poeta» la gente riverisce e porta grande rispetto. C’è anche una forma di gratitudine. Nel caso di Carlito il “titolo” glielo ha assegnato una comunità intera. Ex pompiere, vive con suo figlio in una piccola casa. Ha una terrazza con una vista che permette di vedere tutta Turano e oltre. Uno spettacolo. Si vede talmente tutto che si scorge qua e la qualche divisa grigia e nere del Bope camminare nelle strette strade della favela. Solo in alcune parti. In cielo tante pipas, gli aquiloni con cui giocano soprattutto i bambini. Sporcano di vetro il filo per fare in modo di tagliare quello dell’avversario.

In questa terrazza Carlito scrive poesie fin da quando faceva il pompiere e da quando, è in pensione, non pensa ad altro. Il figlio, 19 anni, polistrumentista, ci mette la musica. Paulo, un omone gigantesco con un sorriso sempre pronto tiene il ritmo con le congas. Roberto, che appare il più anziano del gruppo canta e la sua voce profonda si mescola a quella delicata di Juanita, una 19enne che da poco si è unita a questa strana compagnia. È così che nasce un samba, svela Carlito: «Noi cerchiamo di cantare canzoni nostre. Abbiamo tante cose da raccontare, anche solo com’è cambiato il paesaggio che si vede da qui. La natura, gli amori, la vita e le ingiustizie, tutto si può rendere samba. Perché vedi, la poesia è come l’acqua. Penetra ovunque, si fa spazio a dispetto di qualsiasi ostacolo. Può metterci tempo, come le piccole gocce che scavano la pietra. Il samba, le nostre canzoni, sono il nostro testamento per le generazioni a venire ma anche un modo per noi più anziani di provare a capire il mondo di oggi».

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