Vita rurale e urbana, certe magnifiche ossessioni
Maboroshi Il rapporto tra vita urbana e quella rurale nelle montagne, con le sue facili e stereotipate dicotomie che necessariamente accompagnano il discorso, è un tema che spesso emerge nelle discussioni nel e sull’arcipelago nipponico
Maboroshi Il rapporto tra vita urbana e quella rurale nelle montagne, con le sue facili e stereotipate dicotomie che necessariamente accompagnano il discorso, è un tema che spesso emerge nelle discussioni nel e sull’arcipelago nipponico
Il rapporto tra vita urbana e quella rurale nelle montagne, con le sue facili e stereotipate dicotomie che necessariamente accompagnano il discorso, è un tema che spesso emerge nelle discussioni nel e sull’arcipelago nipponico.
È del resto abbastanza naturale trovare questa tensione in un paese dove il territorio è montuoso per più del settanta per cento e dove gli agglomerati urbani ospitano gran parte della popolazione. Diverse tradizioni e pratiche religiose specifiche e locali si sono sviluppate nei secoli nelle zone montuose dell’arcipelago ed è inevitabile che queste tematiche siano spesso state affrontate anche dalla settima arte.
L’ultimo esempio in ordine di tempo è Il male non esiste, lungometraggio presentato e premiato all’ultimo festival di Venezia e diretto da Hamaguchi Ryusuke da un’idea maturata dalla sua collaborazione musicale con Ishibashi Eiko. Il debutto cinematografico della talentuosa compositrice e musicista giapponese avviene nel 2016, quando crea le musiche per un lavoro che affronta proprio tematiche simili a quelle messe in immagini da Hamaguchi nel suo film del 2023.
Il lungometraggio in questione è The Albino’s Tree, diretto da Kaneko Masakazu, interpretato da Matsuoka Ryohei e Kanako Higashi e disponibile (con sottotitoli in inglese) sulla piattaforma streaming Sakka (sakkafilms.com).
YUKU è un cacciatore che lavora nelle montagne del Giappone centrale in un programma di controllo della fauna selvatica. Per poter pagare le spese mediche della madre malata, il giovane accetta un contratto che impone di uccidere un raro cervo bianco che vive in una foresta, dove si trova anche un piccolo villaggio.
La presenza di questa comunità è però ritenuta un ostacolo allo sviluppo del turismo nella regione. Mentre Yuku si avventura nel villaggio, scopre che l’animale è venerato come un dio dalla comunità locale, e che gli abitanti vivono in uno stato di semi-isolamento dal resto della società. A contatto con gli abitanti del villaggio, il ragazzo scopre come le abitudini e i costumi praticati dalla comunità siano le vestigia della società pre-moderna giapponese.
Ambientato nella prefettura di Nagano, nello specifico nella zona di Suzaka, il film è un’affascinante esplorazione della pluralità e della ricchezza delle pratiche e tradizioni minori e minoritarie giapponesi. Se il film funziona non è tanto grazie alle interpretazioni o alla trama, questa non viene sviluppata come forse avrebbe potuto, ma piuttosto attraverso il lavoro fatto con e sulle immagini.
IL COLORE prima di tutto, le varie gradazioni del verde ed i marroni terrosi usati rappresentano il tappeto cromatico e lo sfondo su cui si svolgono le vicende del ragazzo. Fin dalle primissime scene, su questo ambiente cromatico risaltano, in contrasto, le giacche lavorative arancioni dei cacciatori e dei funzionari.
In questo modo il gruppo di uomini provenienti dalla città risulta visivamente estraneo all’ambiente boschivo delle montagne e imposta quella tensione tra elemento umano cittadino e elemento selvatico che verrà sviluppato nel resto del lavoro. A magnificare questa tensione è fondamentale la musica alla Popol Vuh di Ishibashi, la bellezza abbacinante dei luoghi fotografati, sia di giorno che di notte, e l’uso di campi lunghi e lunghissimi di questo ambiente alpino.
La scoperta di un modo di vita diverso da quello moderno, tematica che non viene approfondita più di tanto nel film ed è un peccato, viene via via interiorizzata dal protagonista Yuku attraverso il suo viaggio di scoperta a contatto con il villaggio, anche quando ritorna nella sua città.
matteo.boscarol@gmail.com
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