Kore’eda e l’universo femminile
Maboroshi Nella seconda metà degli anni settanta, la televisione giapponese andava incrociando e beneficiando della crisi delle grandi case di produzioni cinematografiche culminata nell’anno horribilis 1973.
Maboroshi Nella seconda metà degli anni settanta, la televisione giapponese andava incrociando e beneficiando della crisi delle grandi case di produzioni cinematografiche culminata nell’anno horribilis 1973.
Nella seconda metà degli anni settanta, la televisione giapponese andava incrociando e beneficiando della crisi delle grandi case di produzioni cinematografiche culminata nell’anno horribilis 1973. Molti dei grandi cineasti che si erano distinti nel decennio precedente sono costretti o scelgono il piccolo schermo come mezzo per realizzare, in più libertà, le loro aspirazioni artistiche. Seijun Suzuki, cacciato dalla Nikkatsu, lavora in alcune serie televisive, Imamura Shohei gira il sud east asiatico per realizzare una serie di documentari per la televisione dedicati agli strascichi dell’imperialismo giapponese nella zona.
È IN QUESTO CONTESTO che escono alcune delle serie più di successo e ancora oggi celebrate nell’arcipelago, come le poliziesche Taiyo ni hoero! (1972-1986) e Tantei monogatari (1979-1980) o, agli inizi degli anni ottanta, il dramma Kita no kuni kara, una delle serie più amate di tutti i tempi nel Sol Levante. Dietro a questi successi si trova spesso il solido lavoro di scrittura portato avanti da scrittori e sceneggiatori. Fra quelli che più hanno saputo catturare l’immaginazione degli spettatori e delle spettatrici giapponesi c’è sicuramente la scrittrice Kuniko Mukoda, le cui storie sono spesso incentrate sulla vita delle donne e i loro rapporti nella famiglia. Ricordata per molti adattamenti da suoi libri fin dalla metà degli anni sessanta, una delle serie più amate in patria e tratta da una sua sceneggiatura è Ashura no gotoku, trasmessa in Giappone dal 1979.
È notizia di qualche giorno fa che Hirokazu Kore’eda ha completato le riprese di un remake della serie, intitolato Asura, che sarà trasmesso su Netflix dal prossimo nove gennaio. Il cineasta giapponese è cresciuto in televisione non solo professionalmente, i suoi inizi furono infatti come aiuto regista e poi regista di documentari per il piccolo schermo, ma è anche stato influenzato da molti dei programmi trasmessi sul piccolo schermo durante i suoi anni giovanili, come ricorda lui stesso nella sua autobiografia Pensieri dal set (Cue Press, 2022).
INOLTRE, Kore’eda non è nuovo alla realizzazione di serie televisive o programmi per piattaforme streaming, come già scritto più sopra agli inizi della sua carriera, ma anche negli ultimi decenni il giapponese si è cimentato in lavori seriali come Going My Home nel 2012 e il più recente Makanai, trasmesso nel gennaio del 2023 sempre da Netflix. Quest’ultima era ambientata a Kyoto nel mondo delle maiko, le giovani apprendiste geisha, e Asura continua l’esplorazione dell’universo femminile e le relazioni all’interno di esso, uno dei temi più cari al regista di Maborosi e Little Sister.
Così come il telefilm originale, Asura è ambientato nel 1979 e racconta la storia di quattro sorelle, Tsunako, Makiko, Takiko e Sakiko, dopo la scoperta che il loro padre, ormai di una certa età, ha un’amante. Il termine Asura del titolo indica le divinità demoniache della cosmologia buddista, un rimando alle reazioni che la rivelazione riguardo al padre innesca in ognuna delle figlie. Da quelle poche immagini che si sono viste finora, la serie sembra essere una commedia con venature drammatiche, riprendendo il tono del lavoro a cui si ispira. Come detto dallo stesso Kore’eda, uno dei pregi della scrittura di Mukoda era quello di saper tessere il profondo legame fra i personaggi nascondendolo in conversazioni spesso al vetriolo. Per mettere in scena questa dualità, il regista si è avvalso di un cast d’eccezione composto di attrici con cui spesso ha lavorato nei suoi lungometraggi, come Rie Miyazawa, Machiko Ono, Yu Aoi e Suzu Hirose.
matteo.boscarol@gmail.com
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