Visti sospesi per i canadesi, l’India sdegnata rilancia lo scontro con Ottawa
Caso Nijjar La risposta alle accuse di Trudeau nei confronti dei servizi di New Delhi per l'omicidio del leader sikh. Nel 2024 si vota, quindi Modi non può mostrarsi debole con una potenza straniera
Caso Nijjar La risposta alle accuse di Trudeau nei confronti dei servizi di New Delhi per l'omicidio del leader sikh. Nel 2024 si vota, quindi Modi non può mostrarsi debole con una potenza straniera
A quattro giorni dalle pesantissime accuse che il premier canadese Justin Trudeau ha mosso contro il governo indiano, i rapporti tra India e Canada sono in caduta libera.
Lunedì 18 settembre dal parlamento di Ottawa, Trudeau ha detto che le autorità canadesi hanno seri motivi di credere che dietro all’omicidio del cittadino canadese di religione sikh Hardeep Singh Nijjar ci sarebbero gli agenti della Research and Analysis Wing (Raw), i servizi segreti indiani. Nijjar, ucciso da due killer ancora latitanti lo scorso giugno, per New Delhi era un terrorista separatista.
ACCUSE «ASSURDE», per l’India, che ha subito reagito espellendo un alto funzionario dell’ambasciata canadese a New Delhi, come rappresaglia a un’espulsione uguale e contraria decisa dal Canada.
Le speranze che i gesti eclatanti potessero presto lasciare spazio a un’opera diplomatica in grado di riallacciare lo strappo sono svanite giovedì 21 settembre, quando New Delhi ha annunciato la sospensione del rilascio dei visti dal Canada – compresi quelli digitali – a causa di non meglio specificate «minacce alla sicurezza nazionale». Nella stessa giornata, l’ambasciata canadese a New Delhi ha diffuso un comunicato in cui si spiega che a fronte di «minacce su varie piattaforme social» ricevute da alcuni componenti dello staff, «per un eccesso di premura abbiamo deciso di ridurre temporaneamente il nostro staff in India». Tradotto: hanno rimpatriato un numero non specificato di funzionari dell’ambasciata.
A STRETTO GIRO è arrivato il chiarimento del portavoce del ministero degli esteri indiano Arindam Bagchi, secondo cui il rimpatrio di parte dello staff diplomatico canadese non c’entra niente con le minacce social, ma risponde a una precisa richiesta arrivata dal governo indiano, che chiedeva «parità di forze e numeri» nelle rispettive rappresentanze diplomatiche. Tradotto: voi avevate più funzionari qui in India di quanti ne abbiamo noi in Canada, quindi dovete tagliare.
Ripicche a parte, la tensione continua a salire, soprattutto ricostruendo il «dietro le quinte» dello scontro. Durante la sua dichiarazione in parlamento, Justin Trudeau aveva spiegato che durante il G20 di New Delhi, cioè due settimane fa, aveva parlato al premier indiano Narendra Modi dei sospetti del caso Niijjar in «termini assolutamente non fraintendibili».
La risposta di Modi non deve essere stata molto convincente. E, secondo Reuters, prima del suo discorso in parlamento, Trudeau aveva già discusso sia del caso Nijjar, sia del sospetto coinvolgimento dei servizi indiani, con le cancellerie di Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda e Regno Unito.
I CINQUE PAESI SONO UNITI nella «Five Eyes», un’alleanza dei servizi segreti che prevede – tra le altre cose – un certo grado di condivisione delle informazioni riservate in possesso dei rispettivi servizi di intelligence. È un dettaglio da non sottovalutare, perché al momento non è chiaro chi abbia avuto accesso alle informazioni che hanno convinto le autorità canadesi ad accusare New Delhi. Sicuramente non l’India.
Il ministero degli Esteri indiano si è detto disponibile a «guardare le informazioni sul caso. Lo abbiamo detto ai canadesi, ma al momento non abbiamo ricevuto niente».
PER ALMENO TRE DEI FIVE EYES – cioè Stati Uniti, Regno Unito e Australia – il problema si pone anche in termini geostrategici: da un lato, possono sostenere la tesi canadese e fare pressioni su New Delhi per collaborare alle indagini, rischiando però di inasprire i rapporti con la potenza che da anni corteggiano in funzione anti-cinese; dall’altro, possono tiepidamente scaricare Ottawa e lavorare con l’India per una de-escalation dei toni che salvi la faccia a tutti.
Sullo sfondo, però, ci sono le elezioni indiane del 2024.
L’appuntamento domina totalmente i ragionamenti dell’esecutivo di Modi, che in questi mesi tutto può permettersi meno di mostrarsi debole o accondiscendente nei confronti di una potenza straniera.
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