In poche altre attività umane – forse nessuna – il nascondimento è praticato e accettato come in letteratura. Se l’anonimato assoluto e la sparizione dell’autore dalla scena pubblica restano un’opzione estrema e tutto sommato rara, quella più tenue del nom de plume è invece molto diffusa. Viene da chiedersi cosa spinga tanti scrittori a camuffare la propria identità, visto che un libro presuppone comunque una certa esposizione di sé. Un’ipotesi plausibile, o almeno interessante, è che il cambio di nome implichi «l’immediata guarigione da tutti i mali».

Viene proposta in Questa bruma insensata, il nuovo romanzo di Enrique Vila-Matas (traduzione di Elena Liverani, Feltrinelli, pp. 207, € 18,00), il cui protagonista, Simon Schneider, è un traduttore, anzi un «traduttore previo» ovvero una sorta ricognitore che esplora il testo e ne individua gli aspetti spinosi in modo da spianare la strada al traduttore vero e proprio, il «traduttore star». A questa professione «minore» ne affianca un’altra, se possibile ancora più servile, e retribuita in misura altrettanto ridicola: quella di hokusai, come la chiama il personaggio senza saperne spiegare il motivo, fatta salva la coincidenza tra il suo mestiere oscuro e quello di un giapponese che svolgeva attività subordinate.

Il lavoro consiste nel fornire citazioni a uno scrittore di successo, un autore definito «distante» perché vive negli Stati Uniti a differenza dell’hokusai, relegato in una casa fatiscente nei dintorni di Cadaqués, sulla Costa Brava. Ma non solo. È distante anche perché Rainer Bros o Gran Bros – così lo chiamano i suoi fan – è uno scrittore invisibile che deve aver «studiato molto bene la strategia di Pynchon, essendo riuscito a rendersi irreperibile pur abitando a Manhattan. Altro aspetto essenziale, forse il più essenziale di tutti: l’autore distante e l’hokusai sono fratelli, con tutte le implicazioni simboliche del caso. Se a ciò aggiungiamo che Schneider ha a suo tempo scritto un romanzo che nessun editore ha voluto pubblicare, il cerchio è chiuso o almeno così sembra. Da un lato abbiamo il fratello che ce l’ha fatta, dall’altra il fallito, quello costretto a vivere di briciole e umiliazioni. Oltre a pagarlo una miseria per le sue citazioni infatti, l’autore distante si rivolge a Schneider non chiamandolo mai per nome ma soltanto con epiteti, alcuni accettabili come consuente, altri decisamente velenosi quali subalterno, subordinato, impiegatuccio, teorico criptico, per arrivare a der Gehülfe ovvero assistente in tedesco, appellativo in apparenza quasi neutro ma di fatto pieno di implicazioni per il richiamo a un romanzo di Robert Walser che proprio così si intitola.

Tornano alla mente i tanti casi in cui due fratelli sono uno il contrario dell’altro – uno buono e l’altro cattivo, uno ricco e l’altro povero, uno osannato e l’altro offeso.  Theo e Vincent Van Gogh per esempio, peraltro esplicitamente evocati dal narratore. Ma se i due fratelli di Questa bruma insensata risultano quasi improbabili tanto rispondono a un cliché, le figure di contorno – quelle letterarie in particolare – sono spesso reali. Molti scrittori vengono soltanto citati o nominati perché già consegnati alla Storia, vedi Franz Kafka o Thomas Mann.

Altri, però, si manifestano in carne e ossa: o con un semplice cameo, è il caso di Anthony Burgess o dando un loro contributo al tessuto della trama, come Salman Rushdie. Che il più presente sia proprio Thomas Pynchon, lo scrittore più assente del mondo, è ovviamente non casuale. Ancor meno ovvio è che niente sia davvero ciò che appare o come ci si aspetta. Siamo pur sempre in un romanzo di Vila-Matas e pertanto, a ben guardare, il vero scomparso non è l’autore distante ma il suo Gehülfe. In fondo, Rainer Bros è sotto gli occhi di tutti con ciò che più conta per uno scrittore, i suoi libri. Mentre il fratello vive perennemente all’ombra di qualcuno o di qualcosa. Tutto sembra destinato a sparire, nella sua vita. Ha pochi amici e anche quei pochi sembrano dileguarsi. Aveva un’amante – l’ex infermiera di suo padre – e anche lei è svanita senza lasciare traccia. Che sia lui, Simon Schneider, con la sua vita triste, la sua depressione, ad allontanare gli altri, a cominciare proprio dal fratello? È una possibilità. Lo è al punto che la vita negletta di questo adoratore «di un’intertestualità sempre sul bordo di un precipizio», questo traduttore previo che si arrabatta «a nord di Barcellona e a sud del nulla», viene adocchiata dall’autore distante per ricavarne un romanzo, anzi un libro di non-fiction.

C’è sempre una vena di triste comicità in Vila-Matas, un velo di ironia – una bruma, appunto – che rende le cose grigiastre e sgranate e ricorda la maschera con cui Buster Keaton affrontava l’infinito reiterarsi delle sue sventure: l’imperturbabilità della rassegnazione, la certezza che l’unico modo sensato di precipitare negli abissi dell’assurdo sia la quiete del silenzio, che è poi la strategia del rifiuto compassato quanto misterioso di Bartleby. Ebbene: lo scrivano di Melville non è forse un Gehülfe anche lui, anzi l’antesignano, il modello di tutti gli assistenti, i subordinati, gli impiegatucci che popolano la letteratura moderna? Non per niente, a Bartleby era dedicato un libro del 2000, quello con cui Vila-Matas si è imposto all’attenzione del mondo e da cui sono poi scaturiti Il mal di Montano, Dottor Pasavento, Dublinesque, tutti romanzi i cui protagonisti erano uomini consacrati alla letteratura in un’epoca in cui certi ideali sembrano spariti o almeno morenti. Tappa chiave, e per certi conclusiva di questo percorso, il più recente Kassel non invita alla logica, che non è un romanzo ma si perde nelle stesse questioni, anche se da una prospettiva diversa. Racconta un’esperienza reale dello scrittore spagnolo: la sua partecipazione come opera vivente a una manifestazione di arte contemporanea. Non lo fece per esibizionismo. Voleva vedere il sistema dell’arte di oggi dall’interno, nella speranza che vi sopravvivesse quello spirito ormai pressoché estinto nella scena letteraria: l’azzardo, lo slancio avventuroso dello sperimentatore, il coraggio folle, fanciullesco e spesso anche arrogante di chi sfida il proprio tempo. L’avanguardia insomma.

In Questa bruma insensata, Vila-Matas torna al romanzo e agli usati temi, ma l’arte sembra comunque averlo contaminato. D’altra parte, sottrarsi al mondo come fanno Pynchon e l’autore distante è in fondo più una forma esistenziale di perfomance che un atto letterario. Viene da chiedersi infatti se sia vera sparizione. Una vita anonima non è forse più invisibile di uno scrittore nascosto? Che è poi il dilemma che un critico immaginario vede nell’opera dell’autore distante, un dilemma che può valere, come è fatale che sia, anche per lo stesso Vila-Matas: «il tema di fondo dei suoi libri è se continuare o no, in sostanza that is the question, un’oscillazione tra due coscienze: quella che vuole avere fede nella scrittura e quella che preferisce propendere per il disprezzo e la rinuncia radicale».