Non piacerà a Bruxelles, ma i rapporti tra l’Ungheria e la Cina sembrano intensificarsi sempre più e arricchirsi di nuovi spunti di collaborazione. Lo Stato danubiano potrebbe infatti divenire, a breve, uno dei più importanti produttori di batterie per veicoli elettrici, grazie a investimenti di provenienza cinese. 

Più precisamente, secondo quanto scrive Europa Today il 21 dicembre scorso, menzionando il quotidiano Politico, pare che il governo guidato da Viktor Orbán sia in procinto di firmare un accordo con la casa automobilistica cinese Byd per accogliere, sul suolo nazionale, quello che diverrebbe il primo stabilimento europeo dell’azienda in questione. Esso andrebbe a far buona compagnia a installazioni di altri soggetti industriali cinesi; tra essi Eve Energy, Zhenyu Technology, Huayou Cobalt, Ningbo, Nio e Catl, tutti annunciati nell’anno che si sta per concludere.

Risulta che alcuni di questi impianti forniranno batterie ai tedeschi della BMW presenti da tempo in Ungheria. Sempre secondo quanto riporta Europa Today, pare che siano stati i rapporti consolidati in tale ambito fra la Germania e il paese danubiano ad esortare il cancelliere Olaf Scholz a trovare un’intesa con Orbán per evitare di “far saltare” l’apertura dei negoziati relativi all’adesione dell’Ucraina all’Ue, tanto voluta da Bruxelles, e concedere a Budapest 10 miliardi di fondi dell’Unione congelati per motivi che abbiamo più volte descritto.

Quello dell’industria automobilistica è un settore sul quale l’Ungheria punta da tempo. Operano sul suo territorio diverse aziende tedesche ed è stato soprattutto per agevolarle che nel 2018 il governo ha concepito e fatto adottare la legge sugli straordinari, considerata dai sindacati “schiavista”. Straordinari che, secondo il governo, si rendevano necessari dato il problema delle lacune interne in termini di manodopera qualificata. Successivamente la Corte costituzionale ha abrogato alcuni punti di questa legge, stabilendo come aspetto più importante, quello per cui un operaio non può essere licenziato se si rifiuta di svolgere ore di lavoro extra.

Tornando al comparto automobilistico, esso rappresenta circa il 6% del Pil ungherese allorché i fornitori esterni concorrono a un ulteriore 8-9%. È importante la già menzionata presenza nel paese di aziende tedesche, ma vi sono anche quelle sudcoreane, giapponesi e, appunto, le cinesi che sono impegnate nella produzione di veicoli mossi da energia elettrica.

Come già precisato, l’Ungheria è da tempo afflitta dal problema della scarsità di manodopera qualificata, ma quella che c’è risulta essere in grado di fornire buone prestazioni e rimane a basso costo, cosa, quest’ultima, che rappresenta musica per le orecchie dei colossi internazionali operanti in diversi ambiti; tra essi, appunto, quello dell’auto.

Non piacerà all’Ue, ma con Orbán Budapest e Pechino sono vicine; la Cina risulta essere il principale investitore estero in Ungheria dal 2020 e il governo ungherese vuole intensificare i legami economici con il gigante asiatico. Tra l’altro, Orbán è stato l’unico leader dell’Unione ad aver partecipato al forum della Via della seta cinese che si è svolto lo scorso ottobre a Pechino, ottenendo, nell’occasione, il riconoscimento di “amico della Cina” dal presidente Xi Jinping in persona. 

Insomma, con le sue “amicizie pericolose”, Orbán continua ad essere una spina nel fianco di Bruxelles.