«È come se il crocifisso fosse stato messo in prigione dalla coppia presidenziale», ha dichiarato Dora Maria Tellez, la storica comandante guerrigliera sandinista, prima detenuta e poi espulsa un anno orsono dal Nicaragua (con la revoca della nazionalità) da Daniel Ortega e dalla sua vice e consorte Rosario Murillo.

Tutte le oltre 4mila chiese del paese centroamericano sono presidiate dalla scorsa domenica della palme (ma già durante i trascorsi venerdì di quaresima) dagli agenti della Direzione Operativi Speciali della polizia, che vigilano affinché le processioni della settimana santa non escano dai templi per le vie pubbliche. Oltre a fotografare e filmare chi entra ed esce dai luoghi di culto.

Anche il tradizionale pellegrinaggio da tutto il paese al santuario di Jesus del Rescate di Rivas è stato proibito. Mentre non vengono risparmiate neppure le chiese evangeliche (salvo i riti e le prediche nelle sedi delle sette fondamentaliste).

Un clima di sistematica persecuzione religiosa che negli ultimi tre anni ha visto prima la deportazione di un paio di centinaia fra preti e suore stranieri; e successivamente la detenzione e quindi cacciata di religiosi nicaraguensi. Come la ventina di sacerdoti (con alla testa due vescovi) spediti dal penitenziario direttamente a Roma (previa negoziazione) a ottobre e durante le ultime feste natalizie, dopo che Ortega li aveva definiti «una mafia».

La redazione consiglia:
Gesuiti fuorilegge in Nicaragua, lo stato espropria la loro università

Senza contare le precedenti chiusure delle radio (e tv) cattoliche, il congelamento e/o l’esproprio dei conti correnti delle diocesi, la messa fuori legge della Caritas e delle ong cattoliche. Fino ad arrivare alla cacciata del nunzio apostolico (con sospensione delle relazioni con la Santa Sede) e alla più recente confisca dell’Università Centroamericana dei gesuiti, con relativa messa fuori legge della loro Compagnia. Il tutto all’insegna di accuse di «cospirazione contro lo stato».

Si salva solo qualche presbitero simpatizzante del regime, a cominciare dal vescovo di León, monsignor René Sandigo. Con l’arrendevole arcivescovo di Managua, cardinale Leopoldo Brenes, dimissionario per aver raggiunto i 75 anni.

Così che l’unica via crucis all’aperto ha potuto tenersi sabato scorso con i 22 clerici nica in esilio nel confinante Costarica (nella parrocchia di San Isidro Labrador della capitale San José) dove si sono rifugiati almeno un centinaio di migliaia del mezzo milione di nicaraguensi che dalla rivolta popolare del 2018 (repressa nel sangue) hanno abbandonato il paese.

Dal Vaticano dalla recente cacciata dei due prelati si osserva un sostanziale silenzio, dopo che in un’intervista di un anno fa papa Francesco aveva definito Ortega uno «squilibrato» e la sua una «grossolana dittatura», con un che di «hitleriano e staliniano». Né il presidente brasiliano Lula né tantomeno il suo omologo colombiano Gustavo Petro sono riusciti a mediare fra Daniel Ortega e il pontefice.

D’altro canto quella contro la chiesa cattolica è solo una pratica repressiva all’ultimo baluardo rimasto indipendente e fuori dal controllo del regime. Dopo che tutta l’opposizione politica e sociale, insieme ai giornalisti indipendenti, è stata incarcerata o cacciata dal paese. Con i rispettivi beni espropriati e i familiari rimasti in patria intimiditi.