Negli ultimi vent’anni poco meno di 92 milioni di ettari di terra nel mondo sono stati sottratti, attraverso il fenomeno conosciuto come land grabbing (accaparramento della terra), alle comunità locali dei contadini e dei popoli nativi provocando espulsioni e migrazioni, perdita di biodiversità, degrado delle condizioni di vita, ribellioni e uccisioni. Nel solo 2021 in 35 Paesi sono stati ammazzati 358 difensori dei diritti umani – leader di popoli indigeni, contadini, sindacalisti, giornalisti e avvocati – per essersi opposti alla devastazione e all’inquinamento e al diritto di ciascuno di non essere sfruttato o emarginato e di poter vivere in un ambiente salubre e sostenibile.

Lo denuncia Focsiv (Federazione degli organismi cristiani servizio internazionale volontariato) nel quinto Rapporto I padroni della Terra (www.focsiv.it/i-padroni-della-terra-2022/) basandosi sui rilevamenti di Land Matrix, il sito che raccoglie informazioni sui contratti di cessione e affitto di grandi estensioni di terra. «Grazie a questa banca dati è possibile notare come il fenomeno si concentri soprattutto in alcuni Paesi» – afferma Andrea Stocchiero, ufficio policy Focsiv – che assommano da un lato disponibilità di terra fertile e in generale di risorse naturali, foreste e minerali, oggetto di investimenti, e dall’altro governi locali che hanno deciso di adottare politiche di attrazione di quegli investimenti per fare cassa, ma che sovente risultano collusi con gli interessi di grandi imprese multinazionali, fondi di investimento o governi esteri.

I Paesi più coinvolti sono il Perù, soprattutto per le estrazioni di minerali, petrolio, legname, il Brasile con la deforestazione dell’Amazzonia, l’Indonesia, per le grandi piantagioni di olio di palma, Papua Nuova Guinea e poi Ucraina, Argentina e così via.

Sull’Ucraina il Rapporto pone un accento particolare. Perché?

Quest’anno non potevamo non considerare il caso dell’Ucraina in quanto la guerra ha un impatto diretto sulla disponibilità di terra e dei suoi frutti, come abbiamo visto nel caso della produzione e commercio internazionale di cereali. Questo Paese non è esente dal fenomeno del land grabbing; la riforma agraria è incompiuta e, sebbene sia stato vietato il commercio di terra, essa è stata affittata ad alcuni oligarchi nazionali ed esteri, portando a una forte concentrazione del suo possesso. L’Ucraina è il quinto paese per operazioni di accaparramento, come registrato dai dati di LandMatrix.

L’Italia è indenne da questo fenomeno?

In Italia non possiamo parlare di accaparramento in senso stretto, ma osserviamo una tendenza oramai di lungo periodo di trasformazione della proprietà agraria verso una sua relativa concentrazione che sta indebolendo i principi della riforma agraria del dopoguerra, ma soprattutto nell’uso del suolo per fini non agricoli. Il Rapporto ospita infatti un capitolo scritto da Michele Munafò dell’Ispra che riassume i principali dati raccolti da questo istituto di ricerca pubblico che da alcuni anni monitora la crescita del consumo del suolo a danno dell’agricoltura. Si stima infatti una perdita di oltre 4 milioni di quintali di prodotti agricoli dal 2012 al 2020. In questo caso si può parlare di accaparramento di terra da parte di interessi di settori come il commercio e i servizi di logistica, l’industria, l’edilizia e la costruzione di infrastrutture, a scapito dell’agricoltura.

In generale chi sono coloro che si appropriano delle terre e con quale sistema le sottraggono alle popolazioni?

Gli attori sono diversi e vanno dalle multinazionali e grandi aziende nazionali di diversi settori economici, ai fondi di investimento e fondi sovrani di Stati con economie emergenti come la Cina, ma anche dei Paesi arabi produttori di petrolio. Nel database di Land Matrix (https://landmatrix.org) si possono trovare nomi e cognomi di questi attori. D’altra parte, un grande problema è quello della opacità sugli investimenti. Sono pochi gli Stati che in modo trasparente forniscono i dati, molti investimenti sfuggono, e diverse sigle di fondi finanziari nascondono i reali nomi e cognomi all’origine degli investimenti.

Uno studio realizzato per il G20, e commentato nel rapporto Focsiv del 2021, indicava come solo nel 20 per cento degli accordi la società operativa è nota, per il 15 per cento si conosce l’esatta ubicazione e per meno del 10 per cento si rende noto il canone di locazione. Le operazioni sono legali nel senso che avvengono con la definizione di accordi e contratti soprattutto di concessione e affitto di terre, ma in molti casi non vengono rispettate le convenzioni internazionali che chiedono la consultazione, previa e informata, delle comunità locali. I reali «padroni» o meglio custodi della terra, che sono i popoli indigeni e le comunità contadine, vengono così spossessati delle condizioni di vita. Sempre lo studio fatto per il G20 sottolineava come per il 90 per cento delle operazioni non ci siano informazioni sulle consultazioni.

Qual è il destino di queste popolazioni?

Le comunità locali nel migliore dei casi vengono coinvolte in incontri per valutare gli impatti degli investimenti, cercare soluzioni a eventuali conseguenze negative e contrattare compensazioni e attività di sostegno, come la costruzione di infrastrutture per la collettività, scuole e centri sanitari, appoggio alla piccola economia locale, offrendo anche dei posti di lavoro nelle operazioni di sfruttamento ed estrazione delle risorse naturali. Purtroppo, le informazioni raccolte ci mostrano come queste compensazioni siano fittizie, promesse che non si concretizzano, attività il cui impatto positivo è sovrastato dal peggioramento delle condizioni di vita a seguito di inquinamento e degrado della biodiversità causati dalle operazioni estrattive.

Nel Rapporto Focsiv sono illustrati diversi casi in Africa e America latina. Laddove, ed è la maggior parte degli eventi, non vi è consultazione le comunità locali subiscono le conseguenze degli investimenti venendo escluse dal godimento delle risorse locali, dai beni comuni, come acqua salubre e suolo fertile, e marginalizzate in alcune parcelle di terra. Nei casi peggiori vengono espulse e sono costrette a spostarsi verso altri luoghi dove vi è disponibilità di terra e di lavoro, nei centri urbani, nutrendo l’esodo dalle campagne alle città.

Il Rapporto tratta anche il «grab» urbano. Che conseguenze ha sulle persone?

L’accaparramento di terra riguarda le campagne, le foreste, ma anche le città e le periferie. In questi casi il diritto alla terra e a una casa viene defraudato da operazioni di urbanizzazione e infrastrutturazione. Sono soprattutto le comunità più povere e marginali che, ancora una volta, vengono espulse e trasferite in luoghi degradati. Come illustra il capitolo di Maria Domenica Pacini, sono operazioni di speculazione e rinnovamento edilizio che avvengono dentro le città, a livello periurbano, lungo corridoi di sviluppo economico e con la creazione di nuove città.

Voi fornite dieci raccomandazioni per porre un limite al fenomeno dell’accaparramento delle terre. Quali sono le più urgenti da attuare?

Scelgo di evidenziarne due. La prima riguarda l’indispensabile sostegno diretto alle comunità che si oppongono al land grabbing e che lottano per il proprio diritto alla vita. La cooperazione della società civile, e anche la responsabilità del nostro Stato, della nostra collettività, nel sostenere queste lotte, nel mostrare una concreta solidarietà per i diritti umani, è importante. L’aiuto pubblico allo sviluppo deve crescere allo 0,7 per cento (ora è allo 0,22) del reddito nazionale lordo per appoggiare queste battaglie, mentre la Cassa Depositi e Prestiti – la banca di sviluppo pubblico italiana – si deve dotare di controlli efficaci ex ante ed ex post sugli investimenti esteri che finanzia.

Far sì, e questa è la seconda raccomandazione, che l’Unione europea raggiunga un accordo avanzato sul regolamento di dovuta diligenza delle imprese sui diritti umani. Un accordo che renderebbe obbligatoria l’osservanza dei diritti umani nelle operazioni commerciali e di investimento estero e quindi anche sugli investimenti nella terra. In tal senso Focsiv è parte della campagna Impresa 2030 (https://impresa2030.org) che sostiene il negoziato di questo regolamento, per una sua ambiziosa definizione e applicazione.