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Via dalla guerra di Khartoum con la propria vita in uno zaino

Via dalla guerra di Khartoum con la propria vita in uno zainoGli effetti dei combattimenti su un'abitazione civile di Khartoum – Ap

Reportage Nel Sudan martoriato dai combattimenti. Mentre a Gedda si tratta per un cessate il fuoco umanitario, dalla capitale si cerca di fuggire con ogni mezzo e a qualunque costo. Sull'unica strada che oggi porta alla stazione di Sherwani prima c’erano i venditori di tè con le loro grosse teiere e le ciotole di incenso. Adesso c'è solo un odore di morte. E anche partire significa dover pregare per la propria vita

Pubblicato più di un anno faEdizione del 9 maggio 2023
Federica IezziKHARTOUM, SUDAN

Gli occhi delle persone che fuggono dalla guerra raccontano tutti la stessa cosa: «Non c’è tempo per piangere né per pensare a un piano». E mentre a Gedda proseguono i colloqui tra membri delle Forze armate sudanesi (Saf) e membri delle Forze di supporto rapido (Rsf), a Khartoum i civili sono ancora incapaci di uscire di casa perché hanno paura di essere uccisi sotto gli occhi dei propri bambini. I rumori dei colpi di arma da fuoco e degli aerei da guerra che volano sopra le case, tormentano i giorni e le notti. Senza elettricità, acqua potabile, cibo e cure mediche le giornate si sovrappongono tutte uguali, tutte diverse.

QUARTIERI COMPLETAMENTE devastati disegnano la città dove si incontrano il Nilo Azzurro e il Nilo Bianco. Da qui i civili possono entrare o uscire solo attraverso strade secondarie e vicoli. Le aree intorno al palazzo presidenziale sono circondate da veicoli blindati da un lato e depositi di armi dall’altro, e a pochi chilometri di distanza ci sono la sede centrale e i depositi di materiale bellico pesante dell’esercito.

«Sono uscita di casa senza più cibo né acqua», ci racconta Manar. Ha preso un autobus alla stazione di Sherwani. «C’è sempre stata carenza di veicoli qui. Adesso ancora di più». Prima dell’inizio del conflitto, fin dalle prime ore del mattino, su El Qasr Avenue South, oggi l’unica strada percorribile che porta alla stazione di Sherwani, non mancavano i venditori di tè, i settat-chai con le loro stufe in alluminio, le loro grosse teiere e le ciotole di incenso. Adesso nelle strade c’è solo un odore di morte.

A Sherwani, prima della guerra, partiva ogni giorno un autobus per Wad Madani e Manar dopo giorni di attesa ai margini della stazione, tra caldo, fame, paura, notti insonni e punture di zanzara, è riuscita ad avere un biglietto. Nessun autobus parte se non è completamente pieno. 202 chilometri al prezzo di 240 dollari, prima del conflitto il biglietto costava solo poche sterline sudanesi. «Tutto il denaro è congelato nelle banche e non c’è alcuna possibilità di ritirarlo», ci dice.

UN GALLONE DI BENZINA è arrivato a 25mila sterline sudanesi (circa 40 dollari) sul mercato nero, ci racconta un autista di autobus a Sherwani. Il prezzo è più alto di otto volte rispetto all’inizio della guerra. L’aumento impazzito dei prezzi del carburante e l’esodo di residenti disperati hanno costretto le compagnie a un aumento dei prezzi dei biglietti degli autobus, in un Paese che già partiva con un’inflazione a tre cifre e un tasso di povertà del 65%.

Uscire da Khartoum significa attraversare almeno 20 posti di blocco di entrambe le fazioni. I confini non sono netti, così come il controllo delle aree della città. E fermarsi in una stazione di servizio per fare rifornimento significa dover pregare per la propria vita.

Profughi sudanesi giunti in Egitto, in attesa di fronte a un centro medico organizzato dalla Mezzaluna Rossa (Ap)

Ma tutti a Khartoum sapevano che, nel momento in cui i cittadini stranieri sarebbero stati evacuati, i combattimenti sarebbero aumentati. Quindi la fuga degli uni era per gli altri la piccola porta per poter uscire dalla capitale. Le Nazioni unite hanno stimato il movimento di almeno 334.000 sfollati interni. E quattordici dei 18 stati del Sudan sono già stati interessati dallo sfollamento. La maggior parte dei civili in fuga si è riversata nelle città di Wad Madani e El Manaqil, nello stato di Al Jazirah, a est di Khartoum, ospitati in edifici pubblici, scuole, moschee e mercati coperti.

GLI SCONTRI QUI sono meno duri che nella capitale, ma il suono della guerra accompagna l’intero viaggio. Le strade polverose portano le cicatrici dei bombardamenti, sotto il sole cocente e i 42°C di temperatura. Resti di ordigni, mezzi bruciati e posti di blocco abbandonati fanno da contorno.

Il viaggio di molti civili da Wad Madani continua verso l’Egitto. La prima tappa è Port Sudan, tramite autobus o camion. La parte orientale del Sudan è montuosa, spesso impervia. Da Port Sudan, la via è quella verso Argeen, cittadina di confine, appena visibile su Google Maps. Lì, dopo più di 2mila chilometri e due giorni di viaggio, si pagano 200 sterline sudanesi (30 centesimi di dollaro) a persona per avere il timbro di uscita sul passaporto. Il visto di ingresso in Egitto invece costa 140 sterline sudanesi (circa 4 dollari).

SECONDO LE ULTIME STIME ONU il numero di rifugiati sudanesi potrebbe sfiorare gli 860.000 nei prossimi mesi. Ciad, Sud Sudan, Egitto, Etiopia e Repubblica Centrafricana, sono i Paesi maggiormente coinvolti.
Ogni storia dipinge un quadro cupo di come il conflitto possa distruggere istantaneamente la vita. «Ho perso la mia casa, la mia famiglia e il mio Paese. Ho messo tutta la mia vita in uno zaino». È così che gli occhi di Manar ci lasciano.

Naglaa Al-Aazz, 34 anni, è giunta in Egitto con sua figlia attraversando il valico di Halfa (foto Ap)

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