Vi ricordate il Covid? E la crisi socio-economica che hanno innescato le quarantene adottate per limitare la circolazione del virus che sta continuando anche se il palinsesto mediatico ha cambiato programma?

Il rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes), reso noto ieri dall’Istat, è un utile compendio su tutte le conseguenze che ha prodotto e che nessuno, a cominciare da una politica impotente, sta considerando mentre l’epidemia continua. La direttrice centrale dell’Istat, Linda Laura Sabbadini, ha segnalato il rischio di una crescita senza equità e non sostenibile: «Il benessere aumenta nel 2021, ma con aree di sofferenza nuove e vecchie». «Il quadro è ancora adombrato dalla pandemia – ha confermato il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo – Molti divari si sono mantenuti o addirittura allargati».

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La famosa «crescita» del 6,6% , in realtà un rimbalzo tecnico del Prodotto interno lordo (Pil) dopo il crollo a meno 8,9%, ha aumentato le diseguaglianze. E la povertà assoluta che colpisce oltre 5 milioni e mezzo di persone, e cresce al Mezzogiorno e tra i minori, nel 2021. E il cosiddetto «reddito di cittadinanza»? Non è stato la diga come hanno inutilmente sperato in molti. I numeri, sui quali nessuno sembra volere ragionare, confermano che siamo tornati ai valori del 2019. E, probabilmente, sono anche superiori.

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Altra questione: si è detto che il lavoro aumenta. Ma certo: solo che è tutto più precario, taglia fuori metà delle donne con figli piccoli e porta ancora tanti ragazzi a emigrare o a rinchiudersi in casa senza prospettive. Aumentati anche i «Neet» (Not in education, employment or training) che non studiano né lavorano. Dalla «ripresa» sono stati esclusi i lavoratori culturali e creativi, che perdono 55 mila occupati in due anni di pandemia.

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A pagare un «tributo altissimo» alle restrizioni per limitare i contagi sono soprattutto i più giovani. In particolare, peggiorano le condizioni psicologiche degli adolescenti. Circa 220 mila ragazzi tra i 14 e i 19 anni si dichiarano insoddisfatti della propria vita e hanno basso benessere psicologico: la loro quota è raddoppiata in un anno, fino al 6,2%. Anche la scuola subisce in pieno l’impatto del virus. Gli abbandoni precoci nel 2021 sono il 12,7%, ben oltre il limite europeo del 10%. E aumentano gli alunni di terza media insufficienti nelle competenze alfabetiche (il 39,2%) e in quelle numeriche (il 45,2%) con un balzo di circa 5 punti nel 2020/2021. Le criticità riguardano anche i più piccoli con poco più di un bimbo su quattro che frequenta l’asilo nido, nonostante un lieve aumento dei posti.

Tra i ragazzi poco più grandi, di 25-34 anni, già prima della pandemia il tasso di occupazione era il più basso tra i paesi europei, con una distanza più ampia per le ragazze. Poi la situazione si è ancora deteriorata. L’Italia mantiene inoltre il primato Ue per giovani tra 15 e 29 anni che non studiano nè lavorano, i Neet, che nel 2021 calano al 23,1%, ma non tornano al livello pre-pandemia.

La «speranza di vita», ecco un Altro indicatore (nel rapporto  Bes ce ne sono 153 desunti dal lavoro di Jean-Paul Fitoussi, scomparso la scorsa settimana, con Amartya Sen e Joseph Stiglitz). In media, dopo i due anni del Covid, è risalita a a 82,4 anni nel 2021 dagli 82,1 del 2020, ma rimane inferiore di quasi un anno a prima della pandemia, e nel Mezzogiorno diminuisce ancora fino a 81,3 anni.

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Utile promemoria a questo elenco della crisi reale che tutti vedono ma che nessuno sembra volere affrontare, se non contemplandola nelle statistiche. La guerra in Ucraina e della crisi energetica hanno spinto ieri il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti (Lega), a temere che il prossimo rapporto Bes «inquadrerà una situazione ancora più critica rispetto a quella ereditata da due anni di pandemia».

E l’anno prossimo saremo qui a dire che la situazione è grave. Cambia il metodo di misurazione del “benessere” (?). La società dello spettacolo dell’impotenza resta la stessa.