La morte dell’economista francese Jean-Paul Fitoussi a Parigi all’età di 79 anni ieri è stata accompagnata da un rumoroso commiato in Italia, paese di cui parlava amabilmente la lingua e dove ha insegnato alla Luiss di Roma. Dal presidente del Consiglio Mario Draghi a diversi esponenti del suo governo «senza formule politiche», quelli più o meno accostumati alle parole baule dell’economia e alle sue doppie pratiche di potere, sono stati in molti a esprimere il cordoglio per la scomparsa dell’economista dell’Institut d’études politiques di Parigi, la «Science Po» definita «scuola del potere» dal grande cineasta Raoul Peck in una mini-serie di qualche anno fa.

«Fitoussi ha contribuito a migliorare le politiche europee» ha detto Draghi Per il ministro della pubblica amministrazione Renato Brunetta è stato «un coraggioso compagno di strada». Il funambolo Matteo Salvini ha detto che la Lega «non dimenticherà le sue analisi controcorrente», mentre in Cinque Stelle hanno assicurato che le sue idee «sono nel nostro programma». Giuseppe Conte lo ha incontrato mercoledì scorso. Fitoussi doveva inaugurare la «scuola di formazione del movimento». Per Romano Prodi, già presidente del consiglio e della Commissione Europea, «perdiamo un economista brillante e appassionato». «Un uomo coraggioso» per il commissione europeo all’Economia Paolo Gentiloni.

È stato ricordato da Francesco Boccia (Pd) che il lavoro fatto da Fitoussi con i 22 esperti della commissione presieduta dal premio Nobel Joseph Stiglitz, promossa da Nicolas Sarkozy nel 2008 è confluito in una riforma del bilancio italiano nel 2016. L’idea di una misurazione alternativa dell’economia non in base al Pil, ma a otto dimensioni del progresso e del benessere sociale (tra i quali la salute e la «sostenibilità», ovvero la capacità di un’economia di mantenere il benessere della sua popolazione nel tempo) ha ispirato la creazione dell’«Indicatore del benessere equo e sostenibile». Il «Bes», in realtà, serve solo «per valutazioni ex post» e non per orientare le politiche economiche e sociali.

Questo episodio è interessante per capire la natura politica del lavoro di Fitoussi e la sua ricezione tra i potenti che lo hanno consultato ma non ascoltato. L’operato di quella famosa commissione è stato definito senz’altro «tempestivo», ma «infelice» e «inopportuno» in un recente libro da lui pubblicato con Stiglitz e Martine Durand Misurare ciò che conta (Einaudi): «I funzionari delle varie amministrazioni non erano particolarmente inclini a portare avanti il nostro lavoro di miglioramento tecnico del sistema di metriche» ha scritto nell’introduzione Stiglitz. Fitoussi disse nel 2011 in un’intervista a Le Monde: «Siamo lontani dalle ambizioni iniziali, pur riconoscendo che si tratta di un processo a lungo termine. Forse dobbiamo solo essere pazienti».

Di pazienza ne ha avuto molta questo economista che ha presieduto per ventidue anni dal 1989 al 2010 l’Osservatorio francese delle congiunture economiche. La sua prospettiva neo-keynesiana è, tutto sommato, di buon senso. Ma è sembrata radicale in un momento in cui l’orientamento ideologico dei suoi colleghi continua a essere sussunto dalla controrivoluzione capitalistica fondata sull’impianto teorico neoclassico o, meglio, «marginalista» e fondato sulla teologia dell’«equilibrio economico generale». Dalla sua posizione centrale nell’accademia e nell’opinione pubblica democratica Fitoussi si è scontrato con il muro eretto per evitare di affrontare il problema politico in cui siamo ancora oggi, a due anni dal Covid e nel pieno di un’altra crisi: eliminare le cause che hanno portato prima alla disastrosa crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti e poi dei debiti sovrani in Europa nel 2007-2008 e, poi, per altre ragioni, alla produzione di pandemie globali create dall’agribusiness e diffuse dalle catene di approvvigionamento.

L’ostinazione a proseguire sulla stessa strada – ha scritto Fitoussi in Il teorema del lampione (Einaudi) – è arrivata al paradosso per cui teorie falsificate dai fatti (stabilità dei prezzi, concorrenza o disoccupazione volontaria, «sgocciolamento») sono riproposte per risolvere i problemi che non riconoscono e che sono loro stesse a creare. C’è un libro-intervista del 2019 (Einaudi) in cui Fitoussi spiega il modo per districarsi e rovesciare la «neolingua» usata dai neoliberali per giustificare la «naturalità» delle disuguaglianze e la lotta di classe dall’alto in corso da 40 anni e più. Ecco il punto: scardinare l’ordine del discorso dominante è un passo per indicare la prospettiva del possibile.